Guernica, Nusaybin, New York: tre città, tre continenti e tre periodi storici tenuti insieme da un’artista di 29 anni. È Zehra Dogan, giovane curda, disegnatrice, prigioniera politica: a farla finire in carcere è stato un dipinto, quello che raffigurava la città curda di Nusaybin rasa al suolo dall’esercito di Ankara durante la brutale campagna militare contro il sud-est a maggioranza curda tra il 2015 e il 2016. L’hanno paragonato a Guernica, lei è stata chiusa in cella per terrorismo. Nel marzo 2018 il suo volto dietro le sbarre è apparso a New York, sfondo bianco, tre parole: “Free Zehra Dogan”. La mano è di Banksy.

Qualche mese dopo, nell’agosto 2018, alla giornalista italiana Francesca Nava – impegnata a realizzare un documentario sulle donne turche e curde perseguitate dal governo per il loro impegno politico – arriva una lettera: è di Zehra, arriva dal carcere, a fare da tramite è il suo avvocato.

Una lunga lettera, 22 pagine in cui racconta la sua storia, il massacro di Nusaybin, quello di Cizre, l’arresto e la prigionia. Nava decide, insieme alla sceneggiatrice Marica Casalinuovo, di dare una voce alla lettera, di farla diventare il filo conduttore del suo film, parole che accompagnano i disegni di Zehra, le immagini delle macerie, le storie di altre donne e illustrazioni in movimento che danno forma al racconto.

Terroriste. Zehra e le altre, prodotto da Creative Nomads, uscirà a ottobre. A realizzarlo un team tutto (o quasi) al femminile: Francesca Nava, Marella Bombini, Marica Casalinuovo, Vichie Chinaglia, Serena Del Prete e Fabio Colazzo. Al centro del racconto, accanto a Zehra, ci sono le storie di altre donne. C’è la scrittrice Asli Erdogan, nota in tutto il mondo, per 136 giorni in carcere con l’accusa di appartenenza al Pkk per la sua collaborazione con il giornale curdo Ozgur Gundem (chiuso innumerevoli volte dal governo e oggi svuotato: quasi tutti i suoi dipendenti sono sotto processo per propaganda terroristica).

C’è l’attivista per i diritti umani e patologa Sebnem Korur Fincanci, autrice del protocollo di Istanbul (“vademecum” dell’Onu per il riconoscimento dei segni di torture) e autrice del rapporto sul massacro di civili a Cizre. Che riesce a sorridere del carcere: finalmente, dice a Nava, ho potuto vederne uno dall’interno.

Ci sono Rojda Oguz e Nalin Oztekin e le altre giornaliste dell’agenzia stampa clandestina Sujin (nata come Jihna News), interamente composta da donne. Un mosaico di voci, volti, destini che da anni combattono le tante facce di un regime autoritario che ha preso dalla storia turca l’esasperato nazionalismo e l’oppressione del popolo curdo per farne bandiera della “turchizzazione” forzata e forzosa. Una realtà che travolge i popoli che da secoli vivono quelle terre, nascondendone aspirazioni e diritti nelle celle delle prigioni, in un’esplosione del numero di prigionieri politici e di epurati che non risparmia classe sociale, religione, etnia.

Ma quelle aspirazioni esistono e resistono. Nei disegni di Zehra, i racconti di Asli, l’impegno di Sebnem.