Al di là del loro significato politico, le dimissioni annunciate da Jan Jambon e Koen Geens, rispettivamente responsabili dei ministeri dell’Interno e della Giustizia nel governo belga, per quanto per il momento rifiutate dal primo ministro Charles Michel, segnalano quanto grave sia la situazione degli apparati di intelligence del paese.

Già sul banco degli imputati per i quattro mesi di latitanza di cui ha potuto godere Salah Abdeslam, con ogni probabilità trascorsi integralmente tra un quartiere e l’altro di Bruxelles, e ancor prima per aver sottostimato la pericolosità dell’intero gruppo di jihadisti residenti in Belgio e passati all’azione la sera dello scorso 13 novembre a Parigi, gli apparati di sicurezza del reame sono stati infatti chiamati in causa anche a proposito dei kamikaze che hanno portato il terrore martedì mattina nel cuore della capitale belga. In particolare, a fare scalpore, e a spingere i due ministri ad annunciare un loro possibile passo indietro, sono state le rivelazioni ampiamente rilanciate ieri dalla stampa internazionale e locale, riguardanti Ibrahim El Bakraoui, uno dei due terroristi suicidi che si sono fatti saltare in aria all’aereoporto di Zaventem, che era stato espulso lo scorso anno dalla Turchia verso i Paesi bassi dopo che era stato arrestato mentre era in procinto di raggiungere la Siria per unirsi ai combattenti del sedicente Stato Islamico.

L’uomo, cresciuto a Molenbeek e già passato per il carcere per alcune rapine, era quindi rientrato tranquillamente in Belgio senza che le autorità prendessero alcun provvedimento nei suoi confronti. Allo stesso modo, magistratura e servizi di sicurezza belgi, secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Haaretz che ha fatto eco a informazioni di fonte Mossad, avrebbero ignorato l’allarme giunto alla vigilia degli attentati di Bruxelles sull’imminenza di possibili attentati jihadisti sulla linea della metropolitana e all’aereoporto.

Se dopo le stragi di Parigi i partner europei avevano chiesto ai belgi un maggiore impegno nei confronti della minaccia rappresentata dal terrorismo di matrice islamista, oggi è lo stesso parlamento locale ad auspicare che chiarimenti siano «forniti all’insieme della popolazione», come ha detto il presidente della Camera, Siegfried Bracke, per altro collega di partito della N-VA (Nuova alleanza fiamminga), del ministro Jambon. Lo strumento per farlo sarà una Commissione parlamentare d’inchiesta che a partire dalla vicenda di Ibrahim El Bakraoui dovrebbe fare luce sulle tante zone d’ombra che pesano sull’operato degli apparati della sicurezza.

Le competenze e gli strumenti specifici di cui potrà avvalersi questa commissione saranno definiti oggi al termine di una riunione congiunta dei responsabili dei ministeri di Interno, Giustizia e Esteri che dovranno rispondere alle domande dei deputati della maggioranza come dell’opposizione. E c’è già chi ricorda l’analoga commissione parlamentare, istituita nel 1988 per indagare sulla serie di rapine, eseguite secondo modalità da commando militare e con l’uso di armi da guerra, che si concluse con un magro bottino ma con ben ventotto vittime tra il 1982 e il 1985, in particolare nella provincia del Brabante. Una vicenda oscura passata alla storia come «les tueries du Brabant». Dopo anni di indagini, malgrado i sospetti maggiori riguardassero proprio apparati di sicurezza e delle forze dell’ordine «deviati» o in odore di contatti con le strutture della Nato e settori dell’estrema destra locale, la commissione fu sciolta senza aver individuato alcun responsabile diretto o «centro di potere» coinvolto.

Chissà se questa volta andrà meglio.