L’estate e le sue giornate molli e i pomeriggi oziosi, ma le femministe spagnole non hanno mollato, non se lo possono permettere. 17 donne assassinate in Spagna nel mese di luglio, 10 donne in più di quelle uccise nel 2014. Altre ancora uccise in agosto. I dati dicono che questa è l’estate con il maggior numero di casi dal 2010: 34 donne uccise da uomini in soli due mesi e mezzo. Tutti i giornali ne hanno parlato, il terrorismo machista non è andato in vacanza.

Omicidi in ambito familiare, per mano del coniuge, del partner o dell’ex partner, in contesti di prossimità, di amicizia, di lavoro. Donne uccise per quell’idea tutta maschile di possesso «o mia o di nessuno». «Terrorismo machista» è cosi che viene chiamato in Spagna, senza inutili giri di parole per cercare di sminuire il fenomeno. Per questo il movimento femminista, lo stesso che già il passato anno ha frenato la sciagurata proposta di restrizione del diritto di aborto rispetto alla legge in vigore dal 1985, ha iniziato ad organizzare la più grande mobilitazione della storia di Spagna contro il femminicidio. Contro la violenza e le molestie sessuali, contro la tratta delle donne e contro la violenza economica e simbolica, una marcia per camminare fino all’uguaglianza.

Migliaia di donne, senza escludere la presenza di qualche uomo, marceranno da tutta la Spagna e riempiranno le strade di Madrid il prossimo 7 novembre perché l’uguaglianza non è un lusso o un ornamento, ma una necessità di vitale importanza. La manifestazione ha un doppio obiettivo. Da una parte sensibilizzare la cittadinanza ricordando che uno stato democratico e di diritto deve essere capace di garantire la vita della metà della propria popolazione.

Dall’altra pretendere che si attui la normativa in materia di uguaglianza che sarebbe l’unica forma di prevenzione della violenza sessista. L’attuale governo della destra spagnola non ha voluto agire su tutto questo, anzi la offensiva neoliberista che rappresenta aumenta la disuguaglianza tra uomini e donne.

Così quando è stato anticipato al mese di agosto il dibattito sul bilancio preventivo dello stato per il 2016, furbata pensata e fatta per approvarlo prima delle prossime elezioni politiche di fine anno, i dati delle donne assassinate hanno reso ancora più evidente la inadeguatezza degli stanziamenti previsti alla voce relativa all’uguaglianza tra donne e uomini e contro la violenza sulle donne. Il bilancio generale dello stato (PGE) si presenta stampato in più volumi, o in una compatta versione digitale di 594 megabyte, e la lettura dettagliata di quello che contiene rivela chi più e chi meno beneficerà dei finanziamenti previsti.

Le voci sono tante. L’educazione, la cultura, i disoccupati, la Chiesa, gli immancabili militari, i malati di epatite C, i progetti aerospaziali, il mantenimento degli ex presidenti del governo, le corse dei cavalli, ovviamente il calcio professionista e poi, in fondo dopo i servizi per la gioventù, finalmente, l’uguaglianza di opportunità tra donne e uomini. Gli stanziamenti destinati sono solo lo 0,0103% dei totali 299.035,14 milioni di euro. Tagli del 20,9% nel corso di questa legislatura (2012-2016) e del 47,6% rispetto al 2009.

Le donne hanno bollato come patriarcale il bilancio generale dello stato per il 2016 e la piattaforma Impacto de género YA, che riunisce 40 associazioni femministe, ha redatto un manifesto che, per l’ottavo anno consecutivo, è stato inviato a tutti i gruppi parlamentari per allertare sulle ulteriori disuguaglianze tra donne e uomini che produrranno le previsioni economiche del governo.

Violenza sono i tagli sui servizi pubblici. È estromettere le donne dal mercato del lavoro costringendole alla precarietà. Sono i tagli sulla salute sessuale e riproduttiva. È ridurre il numero di case di accoglienza per le donne vittima di violenza maschile. È appoggiare l’educazione sessista nelle scuole che non educa all’uguaglianza, ma rafforza proprio il sistema patriarcale.
#7N, 7 novembre, in strada perché, purtroppo, davvero non mancano le ragioni.