Non è vero che i fatti sanguinosi di Strasburgo siano un film già visto, un déjà-vu terroristico in semplice sequenza con gli atti terribili degli ultimi anni che di vittime in Europa ne hanno fatte a centinaia, da Charlie Hebdo a Bataclan, da Nizza a Berlino, a Barcellona. Mentre salta la presunta serenità del Natale, delle sue luminarie di marketing, e tutto ripiomba nella paura e nell’insicurezza, ci troviamo invece di fronte a qualcosa di nuovo.

Certo, si tratta ancora della scia di sangue che ci ritorna in casa a fronte delle tante, troppe guerre che abbiamo seminato in Medio Oriente, perfino direttamente con il ruolo occidentale non certo inconsapevole delle migliaia e migliaia di foreign fighters in allegro via vai dai conflitti in corso, dalla Libia alla Siria, allo Yemen.

Ma la scena è davvero mutata, per almeno due ordini di cogenti motivi.

Il primo è la dimenticanza ideologica della guerra, che riguarda i vecchi e nuovi governi europei – che pure in quei disastri sanguinosi hanno avuto un ruolo incendiario – ma anche la sinistra, che in quanto a miopia su questo non scherza. Quando, al contrario, il massacro della guerra non solo non è finito ma è nel momento decisivo, ad una svolta sulle sue possibili conclusioni. La Libia, al di là delle troppe chiacchiere, è e resta devastata dall’intervento Nato del 2011.

Lì è allignato lo Stato islamico che qui e là risorge, mentre resta spartita tra centinaia di milizie e divisa politicamente in almeno tre parti che se la contendono, intanto tra il «nostro» Sarraj e il generale Haftar, leader della Cirenaica sostenuto da Francia ed Egitto in primis.

È con questi interlocutori del resto che abbiamo aperto la nuova guerra ai migranti, proprio a quelli che fuggono dai nostri disastri. Così la contesa non più è soltanto sul terreno, ma tra protettori dell’una e dell’altra parte, tanto da far fronteggiare ormai Russia e Stati uniti.

La Siria è sull’orlo della vittoria di Bashar al Assad, che la «Coalizione degli amici della Siria» con in testa gli Stati uniti, l’Arabia saudita che ha inventato e foraggiato lo Stato islamico e la Turchia del Sultano Erdogan che ne è stato il santuario, dopo l’esperimento crudele e riuscito in Libia, pensavano bene di ripetere il modello. Invece ha tenuto e ora quel risultato travolge gli attori del fallimento, come ha dimostrato la rotta americana di Obama e Hillary Clinton.

Soprattutto l’Isis, che pure ha perso gran parte delle sue roccaforti e dei suoi leader, non è ancora sconfitto: Idlib non è caduta. Chi tratterà l’ultima resa e dove fuggiranno i miliziani ora che la Turchia mostra di avere cambiato cavallo? E proprio in queste ore la nuova coalizione a guida Usa è impegnata con micidiali bombardamenti aerei nel silenzio dei media internazionali, in quella che viene annunciata come la «battaglia finale». Non è dunque difficile immaginare che le forze in via di sconfitta dello Stato islamico riaprano alla disperata il fronte degli attacchi terroristici in Occidente.

Ma l’altro elemento evidente riguarda l’Occidente. Mentre il campo internazionale è occupato da Trump, che di fatto non ha dichiarato nessuna nuova guerra – la quale viaggia ormai bipartisan, con governi sia di destra che di centrosinistra – ma ne ha ormai ereditato i contenuti ideologici (xenofobia, razzismo aperto, America first), ecco invece che l’Europa e il suo progetto politico di Unione vivono una tempesta perfetta che travolgoe tutto: dalle peripezie tragicomiche della Brexit, alle vicende intestine e devastanti in Spagna, dall’austerity che resta “verbo” oltre i Trattati storici, alla dimenticata e tartassata Grecia, alla crisi della stessa Germania e della sua centralità, all’Est Europa nelle mani di regimi autoritari, nazional-sovranisti, antiunitari e, come si definisce la Polonia, «baluardo del cristianesimo», fino all’uragano che travolge in queste ore la Francia dell’«innovatore» Macron.

Così nessuno ormai si sorprende più del fatto che negli stessi luoghi parigini dove il terrorismo di matrice islamica ha colpito al cuore la convivenza civile, si erigano barricate e avvengano scontri violenti guidati in queste ora dai gilet gialli protagonisti di una rivolta sociale violenta. Il campo, dappertutto, è dello scontro.

Gli attacchi terroristi, come quest’ultimo a Strasburgo, possono distogliere da tutto questo, ma in realtà lo confermano tragicamente.

E che dire dell’Italia e della sua nuova ambiguità con ben due populismi (giustizialista e razzista) al potere.

Solo poche ore prima dell’attacco nella capitale del Parlamento europeo, il ministro degli interni Salvini, razzista, giustificazionista verso il neofascismo, nemico dei musulmani e forte di una propaganda di odio, in visita dall’alleato Netanyahu in Israele, com’è buona norma per ogni leader d’estrema destra intento alla scalata del potere, ha schierato l’Italia a fianco di Israele che l’Isis ha incoraggiato e soccorso, contro l’Iran e gli hezbollah libanesi, vale a dire contro le uniche forze che, insieme ai kurdi del Rojava, da subito in Siria hanno combattuto direttamente lo Stato islamico.

Fino a suscitare la dichiarazione durissima dello stesso ministero italiano della difesa che ha perlomeno ricordato come accusare di terrorismo una forza come gli hezbollah al governo in Libano, metta a repentaglio la sicurezza di migliaia di caschi blu italiani dell’Unifil impegnati a mantenere la pace sul fronte caldo del confine israelo-libanese. Mentre tutto il governo italiano tace sull’assassinio Khashoggi il cui mandante è il principe ereditario dell’Arabia saudita e acconsente – come già Renzi e Gentiloni – a che tonnellate di armamenti arrivino dalla «nostra» fabbrica di bombe in Sardegna al regime dei Saud che guida la guerra atroce contro i civili sciiti in Yemen.

Stavolta anche l’Italia è esposta, grazie a Salvini e alla tradizionale connivenza sulla nostra «eccellenza in armi», ad ogni nuovo, terribile pericolo. È Natale, e tra un gingle e l’altro è meglio saperlo come sistemare il presepio di misfatti e verità che rischia di precipitarci addosso.