Hans Magnus Enzensberger in un libretto (piuttosto insulso, a dire il vero) del 2006 tracciava un ritratto del “perdente radicale”; ossia il kamikaze, che egli inserisce tra gli “uomini terrorizzati”, destinati a seminare a loro volta terrore, ma soprattutto indirizzati a un inesorabile destino di sconfitta. Quanto più drammatiche ed efficaci le parole di Frantz Fanon, che spiegava, con l’avallo celebre di Jean Paul Sartre, come la violenza, la violenza estrema, fosse la sola risposta possibile da parte dei popoli colonizzati verso i colonizzatori.

Sollecitato dalla situazione mediorientale, il deputato Alessandro Di Battista, del M5S (del quale non sono simpatizzante, preciso subito), ha compiuto, in un articolo sul sito di Beppe Grillo, una sintetica ricostruzione storico-politica della vicenda mediorientale nel quadro internazionale, scrivendo parole sensate, e persino ovvie, quasi banali. Ma in questo Paese le verità suscitano sconcerto, o addirittura riprovazione, ed ecco che l’analisi della situazione in Iraq, e in generale del “terrorismo” in Medio Oriente, suscitano un “unanime coro di dissenso”, come ripetono pappagallescamente i media mainstream. Che cosa c’è di scandaloso a invitare a riflettere sul nesso tra ingiustizia sociale e terrorismo? O a riflettere sui confini tra Stati disegnati a tavolino dalle Grandi potenze dopo il 1945? O, infine, dire che si diventa terroristi quando non ci sono altre vie per difendersi, davanti a una mostruosa sproporzione di mezzi militari?

Il kamikaze trasforma il suo corpo in un’arma. È la verità, della quale non possiamo che prendere atto. Questo significa invitare a diventare tutti kamikaze? No. Anzi Di Battista, esprime una posizione antimilitarista e pacifista, come ha notato con ragione Marco Pannella su Radio Radicale. E opportunamente condanna il mercato delle armi, e mette in rilievo l’appiattimento della politica estera agli Usa. Egli invita a sforzarsi di capire, e proporre mosse politiche conseguenti, invece di sputare sentenze stereotipate.

Se fossimo oppressi, nella nostra terra, da un nemico infinitamente più potente, se questo nemico ci umiliasse quotidianamente, se ci fosse preclusa ogni speranza di riscatto e di liberazione, se non avessimo appunto altro mezzo offensivo che il nostro corpo, quando ogni altra via ci fosse preclusa, come ci comporteremmo? Insomma, perché non sforzarsi (almeno) di capire chi sceglie come gesto estremo di immolarsi? Ecco: il “perdente radicale”, non è che la riproposizione della figura di Sansone che fa crollare le colonne del tempio, proferendo le celebri parole: «Muoia Sansone con tutti i filistei!». C’è una nobiltà in quel gesto, tramandatoci dalle Scritture; mentre non ce n’è affatto, naturalmente, nell’altra forma di terrorista, quello stragista: il terrorismo che colpisce alla cieca, vilmente. Noi non simpatizziamo, né condividiamo, ma perché non tentare di comprendere e spiegare, invece di limitarsi a condannare, e dare il via libera a un’altra forma di terrorismo, quello del carpet bombing, il bombardamento che riduce in cenere intere città, e manda tutti, a cominciare dagli inermi, a morte?

In realtà, i lemmi “terrorista” e “terrorismo”, sono tra i più sfuggenti della scienza politica. Fra le tante definizioni nessuna ha ottenuto un consenso generale, e tra le più convincenti, anche se fra le meno scientifiche, è che il terrorista è il rivoluzionario che non ha vinto, o finché non vincerà la sua battaglia, a prescindere dagli obiettivi che perseguiva seminando terrore. Menahem Beghin fu un terrorista, che divenne capo del governo israeliano, per fare un solo esempio; ma nessuno oggi lo definirebbe tale. E i nostri partigiani non erano terroristi e banditi per i nazisti e i repubblichini? Oggi non solo in storiografia, ma nel discorso pubblico i terroristi sono loro – giustamente –, i nazifascisti. Detto altrimenti, il terrorista è soltanto il combattente armato visto dall’altra parte, il combattente sconfitto.

Del resto la Cia nei suoi elenchi cambia periodicamente le organizzazioni “terroriste”: l’Uck era inserita nell’elenco, poi è stata inviata al governo di uno Stato fantoccio come il Kosovo, anche in questo caso per fare un unico esempio. Mentre Hamas da quell’elenco non è mai uscita. Ma il mutevole giudizio dei servizi di Washington può essere pietra di misura attendibile? A giudicare dai risultati si direbbe proprio di no. Eppure nessuno si prende la briga di verificare, di andare a studiare la storia e i documenti di Hamas, per esempio. E cosa sappiamo dell’Isis o dell’Isil, i movimenti che stanno lottando, in modo ferocissimo, spesso per quel che ne sappiamo per noi inaccettabile, in Siria e in Iraq? Certo, è più semplice etichettarli con termini quali “tagliagole”, “barbari” e così via: il ben noto processo di disumanizzazione, che consente a coloro che si proclamano “civili”, di fare qualsiasi cosa. Ridurre in macerie Gaza, per esempio. O istituire strutture dove tutti i diritti sono “sospesi”, come Guantanamo… .

E ora andiamo tranquillamente a bombardare i sunniti, e armiamo i curdi che in passato i turchi e i sunniti di Saddam (quando era un uomo degli Usa) avevano bombardato e gasato. Nel consenso generale, tranne che poche frange etichettate come simpatizzanti filoislamisti: e il buon Di Battista qui ha, appunto, commesso l’altro “errore”. Invece di bombardare questi e quelli, non si potrebbe trattare? Apriti cielo. Trattare coi “terroristi”? Non stupisce che Angelo Panebianco sentenzi sul Corriere, mettendo tutto nello stesso sacco, sotto la categoria di filo-islamismo radicale, e quindi, antisemitismo; “analisi” in cui si trova in buona compagnia di Magdi Allam, sul Giornale. Anche il più ragionevole Gad Lerner sul suo blog lancia l’anatema, seguendo la corrente, e dicendo parole che non appaiono distanti da quelle dei leader del Pd e del Pdl scesi in campo contro lo sventatello Di Battista. Ma differenziandosi, tira in ballo la posizione di Grillo sui migranti, facendo un parallelo a mio avviso insensato. Tant’è. La sostanza è che quando non ti possono dare del terrorista, ti becchi del simpatizzante. E allora non ci rimarrà che replicare: «Terrorista sarà lei!».