Nuovo “successo” della ministra israeliana della giustizia, Ayelet Shaked, esponente di punta della destra più radicale. Il suo “Terror Act” è stato approvato in prima lettura mercoledì sera dalla Knesset. La notizia è giunta mentre si discuteva del via libera che il premier Netanyahu intende dare all’allentamento ulteriore delle regole di ingaggio per i militari israeliani in modo che possano sparare subito in caso di lancio di pietre e bottiglie incendiarie. Cosa che in verità già si vede tante, troppe volte in giro per i Territori occupati ma che si vuole ammantare di legalità. Shaked, dopo aver ottenuto l’inasprimento delle pene fino a 20 anni di carcere per coloro – i palestinesi – che lanciano sassi, ora sta per mettere a disposizione delle autorità una serie di strumenti punitivi eccezionali. Coloro che saranno condannati per “terrorismo” – un reato dai contorni molto larghi in Israele dove, appunto, include anche il lancio di pietre – dovranno affrontare condanne fino a 30 anni di reclusione. Verranno inoltre legalizzate le “detenzioni amministrative” – arresti preventivi eseguiti senza alcuna prova concreta che prevedono il carcere senza processo per sei mesi e per più volte consecutive – mentre i “sostenitori del terrorismo”, categoria nella quale saranno inclusi anche quelli che sventoleranno la bandiera palestinese, rischiano di rimanere in prigione per tre anni.

 

Il disegno di legge definisce il terrorismo in base a tre elementi: la motivazione, l’obiettivo e il danno. La motivazione può essere ideologica, diplomatica, nazionalista o religiosa. L’obiettivo sarebbe quello di creare panico o di spingere il governo israeliano a prendere una determinata decisione o impedire che possa farlo. Il danno è verso la persona o per la sicurezza nazionale, verso proprietà e infrastrutture o siti e figure religiose. In sostanza qualsiasi atto di opposizione all’occupazione militare israeliana, anche il semplice sventolio della bandiera palestinese, sarà considerato terrorismo e punito severamente punito.

 

L’obiettivo non pare proprio quello di «combattere la violenza». Con questi nuovi “strumenti” un giudice israeliano, ad esempio, potrebbe considerare “atto di terrorismo” una protesta a Gerusalemme Est contro la confisca o la demolizione di una casa, perchè, a suo giudizio, mette a rischio la sicurezza pubblica e crea “panico” nel resto della popolazione. E potrebbe essere inquadrata come “atto di terrorismo” anche l’azione di una settimana fa a Nabi Saleh di una madre e di altre donne palestinesi che hanno liberato un ragazzino tenuto stretto da soldato israeliano, intenzionato ad arrestarlo per il lancio di sassi. In quella scena diversi esponenti del governo e della Knesset hanno visto non un ragazzino preso per il collo da un adulto armato di mitra, ma una «aggressione gravissima» a danno del militare. Il “Terror Act” di Ayelet Shaked, se approvato, rappresenterà l’inclusione nell’ordinamento giuridico israeliano di una repressione legalizzata, riconosciuta, di ogni forma di dissenso o di reazione da parte dei palestinesi all’occupazione.

 

Tuttavia attribuire il “Terror Act” solo all’impegno incessante della ministra Shaked sarebbe un errore. Perchè a preparare la prima bozza della nuova legge antiterrorismo è stata in realtà l’ex ministra della giustizia, Tzipi Livni, considerata una “pacifista” in Israele, con l’appoggio della sua lista elettorale, Campo Sionista, controllata dal Partito laburista. Alla Knesset non sono mancate le proteste ma non paiono destinate a raggiungere risultati. Di fatto a contestare queste misure, lontane anni luce da un sistema democratico, sono solo la sinistra sionista (Meretz) e la Lista Araba Unita.