Quarantenne, scrittrice affermata vincitrice di un Campiello, autrice Einaudi, in testa alle classifiche di vendita per settimane con il suo ultimo romanzo, Accabadora. Indipendentista convinta. Cattolica con trascorsi nell’Azione cattolica e laurea in teologia. Per molti sardi (i sondaggi la danno al 20 per cento) una Giovanna d’Arco che getterà a mare i colonialisti italiani. E’ Michela Murgia, candidata governatrice alla guida della coalizione Sardegna possibile. Appassionata sostenitrice di una svolta radicale, Murgia spiega quale futuro vede per la sua isola.

La Sardegna ha davvero bisogno di diventare uno stato indipendente?

Il programma di Sardegna possibile per i prossimi cinque anni di legislatura regionale mira a sradicare alla base le dipendenze che impediscono lo sviluppo dell’isola. L’indipendenza non è un ideologia, è un risultato storico che si raggiunge sommando insieme molte libertà che in questo momento in Sardegna non sono garantite. Faccio un solo esempio tra i tanti possibili: ai sardi è negata la possibilità di gestire il sistema dei trasporti secondo le loro necessità. Nel quadro della pianificazione italiana, in questo settore la nostra isola è una periferia. I porti sardi non sono considerati prioritari. Stesso discorso per gli aeroporti. Rivendicare soggettività politica significa gestire il sistema dei trasporti come se la Sardegna fosse il centro di sé e non la periferia di qualcosaltro. Restituire centralità politica alla Sardegna non vuol dire che nei prossimi cinque anni raggiungeremo l’indipendenza. Significa piuttosto che utilizzeremo tutta l’autonomia che abbiamo a disposizione nell’attuale quadro istituzionale, ma sino a mostrarne i limiti. Limiti che vanno superati.

Che pensate di fare per affrontare un’emergenza lavoro che in Sardegna è drammatica?

Ogni volta che il lavoro viene indicato come un’emergenza si finisce per prendere soluzioni tampone. Soluzioni in cui noi non ci riconosciamo. Non abbiamo alcun piano straordinario del lavoro. Perché il lavoro non è un problema straordinario, è un problema ordinario, che va affrontato attraverso il raccordo di tutti gli ambiti produttivi, dall’ambiente all’industria, dalla cultura alla salute. Fatte salve le situazioni di urgenza che occorre risolvere con gli ammortizzatori sociali, la risposta deve essere una micro progettazione territoriale che tenga conto delle esigenze e delle vocazioni delle diverse zone dell’isola.

Il leader del centrodestra Ugo Cappellacci vuole smontare il Piano paesaggistico regionale (Ppr) attraverso il suo Piano paesaggistico dei sardi (Ppe). Voi che posizione avete?

Le politiche dell’ambiente vanno legate alle esigenze di integrità dei territori. Diciamo no nel modo più netto allo sfruttamento selvaggio dell’ambiente. Detto questo, aggiungiamo che sia il Ppr di Renato Soru sia il Pps di Ugo Cappellacci sono macro progettazioni fatte fuori dei singoli territori. Centrosinistra e centrodestra hanno lavorato su quei progetti senza tenere in alcun conto il parere delle comunità. E questo è sbagliato. Noi vogliamo coinvolgere i territori.

Che rapporto avete con i movimenti nati un po’ ovunque nei vari territori della Sardegna?

Ottimo. I comitati spontanei sorti sui territori sono pieni di vitalità civica. Si parte da un no detto a decisioni prese sulla testa delle singole comunità e si arriva a proporre alternative validissime a modelli di crescita calati dall’alto e inaccettabili. Viene da loro un contributo di idee e di programmi preziosissimo. Ma anche l’indicazione di una nuova articolazione del rapporto tra livello istituzionale e rappresentanza. Un nuovo modello di democrazia.

E il vostro rapporto con l’area grillina?

E’ cresciuta in tutto il paese una fortissima opposizione a certi modi, purtroppo ancora predominanti, della politica. Questa forte opposizione ha trovato nel M5S un’alternativa che è stata il veicolo attraverso il quale molti sono tornati alla partecipazione, alla passione politica e anche alle urne. Si può pensare ciò che si vuole di Grillo, io personalmente non ne penso bene. Credo però che le tantissime persone che hanno votato M5S siano portatrici di un’istanza di cambiamento e di partecipazione che solo una politica miope può continuare ad ignorare.

E con il Pd?

Noi siamo una risposta popolare, progressista e, sì, anche di sinistra, alle istanze che vengono dal basso. Il Partito democratico difende forze conservatrici, sostiene poteri forti. Nei comitati nati sui territori il Pd ce lo siamo trovati contro. Quando abbiamo sostenuto la città di Arborea contro la Saras, l’industria chimica che vorrebbe devastare un territorio a vocazione agricola per cercare nel sottosuolo giacimenti di gas, la difesa del progetto Saras è venuta dal Partito democratico, attraverso i suoi eletti in consiglio regionale. Il Pd è ancora un partito di sinistra? Noi riteniamo che non lo sia. Nei cinque anni di giunta Cappellacci il Pd ha dato una dimostrazione di dipendenza dagli interessi italiani in Sardegna assolutamente ingiustificabile, non solo sul piano politico ma anche su quello meramente civico. Vedere un segretario regionale sardo, Silvio Lai, che chiama Matteo Renzi per farsi dire cosa deve fare, per farsi dire quale destino riservare a Francesca Barracciu, designata dalle primarie come candidata della coalizione di centrosinistra, è stata una scena pietosa, che ha dimostrato come i dirigenti del Pd sardo non siano in grado di essere responsabili neppure delle loro stesse scelte di partito, figuriamoci se possono esserlo della guida di una regione. In questi ultimi cinque anni il Pd ha accettato che il Pdl governasse senza contraddittorio: le grandi intese le abbiamo inventate in Sardegna.

Perché una scrittrice affermata decide di fare una cosa del tutto diversa e passa all’impegno politico diretto?

Forse perché la politica non è una cosa del tutto diversa dal mio lavoro di scrittrice. Restituire trama a un territorio è per me l’atto letterario più alto che si possa immaginare.