«Qassem è stato assassinato, non aveva fatto nulla di male, (i soldati israeliani) lo hanno ucciso senza motivo». Musa Abbasi venerdì non tratteneva la rabbia e le lacrime parlando dell’uccisione del fratello avvenuta ad un posto di blocco militare nei pressi di Balou/Bet El. Un check point che consente all’esercito israeliano di controllare chi entra e chi esce ad est di Ramallah e divenuto un punto ad alta tensione dopo l’uccisione a metà dicembre di due soldati israeliani, colpiti in quella zona da raffiche di mitra esplose da palestinesi. «Chiediamo giustizia per Qassem, continueremo ad invocarla», ha insistito Musa Abbasi rivolgendosi i giornalisti giunti alla tenda del lutto davanti all’abitazione di famiglia nel quartiere di Silwan, ai piedi della città vecchia di Gerusalemme. La vicenda di Qassem Abbasi, appena 17enne, riempie da due giorni le pagine dei giornali palestinesi, assieme alle notizie riguardanti le quattro uccisioni di venerdì a Gaza. Mohammed al-Jahjuh, 16 anni, Abdelaziz Abu Sharia, 28, Naher Yasin, 40, e Ayman Shbeir, 16, sono stati colpiti dalle pallottole sparate dai soldati israeliani durante le proteste settimanali lungo le linee di demarcazione con lo Stato ebraico. Sono 239, secondo i dati delle autorità di Gaza, i dimostranti palestinesi uccisi dal fuoco dell’esercito dal 30 marzo, giorno di inizio della Grande Marcia del Ritorno palestinese.

La vicenda di Qassem Abbasi sposta i riflettori sul grilletto facile dei militari israeliani. L’esercito in un primo tempo aveva detto di aver aperto il fuoco sulla macchina con alla guida il giovane palestinese perché aveva forzato il posto di blocco. Sarebbero stati anche sparati colpi di avvertimento in aria per frenare Abbasi che avrebbe ignorato l’ordine di fermarsi. A bordo però c’era anche il cugino della vittima, Mohammed Abbasi, che ha dato una versione ben diversa dell’accaduto. Lui, Qassem e un amico, ha raccontato, stavano uscendo da Ramallah quando un soldato israeliano li ha fermati dicendo loro che la strada era chiusa. Quando hanno fatto inversione per tornare indietro, il soldato ha aperto il fuoco contro l’auto colpendo alle spalle Qassem che è morto poco dopo. La polizia militare perciò ha aperto un’inchiesta, confermando indirettamente che il resoconto fatto dai soldati non regge. Il portale d’informazione israeliano Ynet ha scritto che il ragazzo palestinese non ha cercato di investire il militare che gli ha sparato e che non sono state trovate armi nella sua auto. La scorsa settimana le truppe israeliane avevano ucciso ad Al Bireh (Ramallah) un palestinese, Hamdan al Arda, 58 anni di Gerusalemme, perché avrebbe tentato di investire con la sua automobile alcuni militari. Gli stessi giornali israeliani hanno poi riferito dei forti dubbi dell’esercito sulle caratteristiche da “terrorista” della vittima palestinese, un piccolo imprenditore diretto quel giorno al suo magazzino a Ramallah.

La tensione seguita agli attacchi armati e alle uccisioni di questi ultimi giorni gioca a netto sfavore del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen. Ramallah, la città autonoma palestinese più importante e dove ha sede anche l’Anp, è ancora stretta nella morsa delle forze armate israeliane. Inoltre i servizi di intelligence palestinesi stanno operando a pieno ritmo con quelli israeliani per impedire nuove azioni delle cellule armate del movimento islamico Hamas e questo pesa come un macigno sulla credibilità dell’Anp e del suo presidente. Senza dimenticare il pestaggio nei giorni scorsi di decine di manifestanti palestinesi compiuto a Nablus e Hebron da reparti speciali della polizia dell’Anp. I riflessi nell’opinione pubblica sono stati immediati. Un sondaggio presentato a inizio settimana mostra che, se si tenessero oggi le elezioni presidenziali, Abu Mazen verrebbe sconfitto nettamente da Ismail Haniyeh, il leader di Hamas.