Non è arrivata neanche la prima proiezione de La 7, il secondo exit poll, più raffinato rispetto al precedente fornito da Emg basato su un campione del 70%, sta per essere illustrato dal tg di Mentana. Ma dopo soli 40 minuti dalla chiusura delle urne Debora Serracchiani viene già inviata in sala stampa a commentare il «risultato importante e straordinario» del Pd, che dà al partito una «grande responsabilità» a partire dal «completamento delle riforme». Un commento che pare azzardato, ma anche i numeri che circolavano al Nazareno prima della chiusura dei seggi erano incoraggianti. Occhi puntati sulla distanza da Beppe Grillo, sul derby «speranza-odio», cavallo di battaglia della campagna elettorale di Matteo Renzi. Più 6, dicono i primi sondaggi di Emg, sui quali Serracchiani mette la faccia, piuttosto tesa. Più 9 sui 5 Stelle, dice il secondo exit della 7, che allarga la forbice: 34,5% per i democratici. Come del resto in altre occasioni, alle ultime elezioni politiche l’arrivo dei dati veri fece vedere tutto un altro film rispetto alle prime percentuali snocciolate. Ma arriva anche la prima proiezione fornita dalla Rai e addirittura dà il Pd appena sopra il 40% mentre i 5 Stelle scivolano giù e anche per Sky il divario sembra incolmabile.

Serracchiani aveva chiuso la prima, breve dichiarazione targata Pd con un «se confermato», a proposito del risultato «straordinario sia come partito in Ue sia come partito di governo», ma solo rituale.
I conti con il resto dell’Unione – le prime stime sulla ripartizione dei 751 seggi del parlamento europeo danno il Ppe in testa, e le destre populiste avanzano clamorosamente in Francia e Gb – si faranno poi. Scende in sala stampa un’altra fedelissima del segretario e presidente del consiglio, Maria Elena Boschi. «Straordinario», ripete in attesa di conferme, anzi, «storico». E poi Lorenzo Guerini, numero due del Nazareno, secco: «Abbiamo vinto noi. Il Pd è il primo partito della sinistra europea. Viene premiato il lavoro del governo: gli italiani hanno capito che il Paese sta già cambiando». E il deputato cuperliano Dario Ginefra già infierisce sugli avversari: «Grillo e Casaleggio si dimetteranno dalla carica per la quale non sono stati mai eletti?». Mentre Davide Faraone spiega che il Pd è primo anche in Sicilia, dove il soprasso grillino era dato quasi per acquisito.

Se Renzi era arrivato a mettere in conto anche una sconfitta, per dire che in ogni caso la tenuta del governo non sarebbe stata a rischio, i primi, instabili dati dell’Ncd dicono che il governo qualche problema lo ha e pure grosso, all’ala destra: Alfano e i suoi ballano ai confini della soglia del 4%. Se i numeri reali confermeranno l’exploit dei democratici, non sarà una vittoria del governo delle «strette intese», ma solo dell’ex sindaco che proiezione dopo proiezione (ma ancora su un campione davvero esile) arriverebbe a superare e forse anche a surclassare il 33,4% di Walter Veltroni (ci sarà comunque da attendere i numeri assoluti, vista l’affluenza che viaggia verso il minimo storico) saltando anche oltre la soglia del 37% fissata dall’Italicum (ormai fantomatico) per la vittoria al primo turno.

Sarebbe un vero trionfo per Renzi, sempre più uomo solo al comando (ma «è una vittoria di tutto il Pd che si è mosso coralmente», dice Guerini) che avrebbe visto giusto – sul piano della comunicazione – nel fare di Beppe Grillo il «babau» di queste europee, anche se la campagna sul «voto utile», ingannevole non essendo un voto per il governo del paese, non sembra fortunartamente aver sfondato a sinistra.
E con questo dato il premier del «cambiaverso» dovrebbe fare i conti (gli altri suoi alleati di centro sono ridotti ai minimi termini).