Nove mesi dopo la prima scossa di terremoto, la procura di Rieti ha iscritto sette persone nel registro degli indagati per il crollo del campanile di Accumoli, sotto il cui peso morì schiacciata un’intera famiglia: Andrea Tuccio, sua moglie Graziella Torrioni e i loro figli Stefano e Riccardo. I reati ipotizzati sono di disastro, omicidio colposo, abuso d’ufficio e rifiuto d’atti di ufficio. Il nome più importante nelle carte della procura è quello del sindaco del paese, Stefano Petrucci, al quale viene contestato l’abuso d’ufficio. Gli altri sono il responsabile del progetto Pier Luigi Cappelloni, il collaudatore Mara Cerroni, il progettista Alessandro Annibali, il direttore dei lavori Angelo Angelucci e i tecnici della Curia di Rieti (che aveva commissionato il restauro) Giuseppe Renzi e Matteo Buzzi. Archiviato l’allora vescovo Delio Lucarelli.

Secondo i pm il crollo della torre campanaria del 1200 poteva essere evitato, ma gli indagati non avrebbero «adottato i doverosi interventi antisismici idonei ad impedirlo». È l’ipotesi fatta nei giorni immediatamente successivi al sisma: i lavori fatti erano di miglioramento e non di adeguamento sismico – troppo poco per reggere a una botta forte come quella della notte del 24 agosto -, mentre la Sovrintendenza aveva già segnalato un indebolimento strutturale già nel 2009, dopo il terremoto di L’Aquila.

Intanto la questione delle casette provvisorie per gli sfollati sta cominciando ad assumere contorni drammatici: di 3.497 casette necessarie, quelle già abitate sono solo 98, tutte tra Amatrice e Norcia. Nelle Marche non c’è niente, letteralmente: zero casette e oltre cinquemila persone in attesa negli alberghi della costa, senza sapere se e quando dovranno andare via, visto che gli albergatori cominciano a fare pressioni sempre più forti in vista dell’arrivo dei turisti per l’estate. Soltanto a Pescara del Tronto, sopra Arquata, ci sono 24 moduli pronti, ma ancora nessuno li ha occupati e c’è grande preoccupazione per quelli che saranno i criteri di scelta per chi potrà entrare prima. L’incubo è di replicare quanto già accaduto a gennaio ad Amatrice, quando la graduatoria fu affidata a un sorteggio, con tanto di bussolotto e scrutatori. In teoria, comunque, protezione civile e governo fanno sapere che tutte le casette saranno pronte entro la fine dell’anno: comunque un intervallo di tempo mostruoso, tanto più se si considera che il commissario alla ricostruzione Vasco Errani per mesi ha giurato e spergiurato che sarebbe riuscito a chiudere la questione entro la primavera di quest’anno.

In tutto questo, il segretario del Pd Matteo Renzi ha annunciato con un post su Facebook che domenica le famigerate «magliette gialle» armate di scopa e ramazza si recheranno nelle zone terremotate. A parte la retorica da boy scout sulla lotta al degrado, bisogna rilevar che Marche, Umbria e Lazio sono tre regioni in cui i democratici governano sia a livello centrale sia in gran parte dei comuni, non sono all’opposizione come a Roma, dove pure l’operazione non è stato un trionfo mediatico ma ha generato quasi solo sberleffi e prese in giro: per risolvere i tanti problemi legati alla gestione del dopo terremoto forse sarebbe meglio muovere i propri rappresentanti istituzionali invece che i militanti di base, armati solo di buone intenzioni e grandi dosi di retorica sul «Pd che lavora fuori dal palazzo». Sul punto, l’umore dei terremotati e tetro, e se ne sono accorti anche gli esponenti democrat locali. «L’iniziativa è inopportuna – dice il capogruppo al consiglio comunale di Ascoli Francesco Ameli, renziano di stretta osservanza –, recarsi nei luoghi del sisma per ascoltare lo stato dell’arte vuol dire mancare di rispetto sia a chi fino ad ora si è impegnato sino allo stremo delle forze sia, soprattutto, ai cittadini che pazientemente ci stanno ad ascoltare perché hanno fiducia in noi».

Renzi, comunque, non sembra intenzionato a desistere e sui social network e nelle chat continua a far circolare messaggi per incentivare la partecipazione alla parata delle magliette gialle di domenica. È possibile che nei paesi demoliti, con le macerie ancora ben visibili ai lati delle strade e i pochi rimasti ormai agli estremi confini dell’umana sopportazione, l’accoglienza non sarà delle più calorose.