Al comitato fiorentino che contesta il passante sotterraneo dell’alta velocità ferroviaria si guarda con grande interesse all’inchiesta della procura di Potenza. Di fronte a un colossale smaltimento di rifiuti pericolosi fatti passare per non inquinati, gli attivisti no Tav trovano più di una similitudine con quanto potrebbe accadere nel corso dei lavori per i due tunnel di sette chilometri sotto la città, vista la gran quantità di terre e rocce da scavo da smaltire.
Quanto al parere favorevole della commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale Via-Vas del ministero dell’ambiente, arrivato due giorni fa dopo lunghissime riflessioni, il comitato prende la notizia con beneficio di inventario: “E’ vero che la normativa introdotta qualche anno fa rende più facile smaltire liberamente le terre di scavo – osservano i no Tav – che prima erano saggiamente considerate rifiuti. Ma questo non è sufficiente a dire che si può partire con la fresa”.
La presa di posizione è in assoluta controtendenza con i commenti soddisfatti del presidente toscano Enrico Rossi, e dell’ad di Rfi, Maurizio Gentile. Ma in realtà poggia su solide basi: “L’unica ricerca – rimarca il comitato – è una consulenza commissionata dal general contractor Nodavia al Cnr, in cui si chiedeva se le terre prodotte dallo scavo fiorentino potevano essere considerate sottoprodotti non inquinati. La risposta è stata sostanzialmente una non-risposta: il Cnr ha detto che va visto, lotto per lotto, se la terra prodotta potrà essere utilizzata per costruire le colline di Santa Barbara in Valdarno, o dovrà essere considerata rifiuto da discarica”.
La differenza è sostanziale. Non per caso i lavori dei tunnel sono rimasti fermi – o meglio non sono partiti – dopo che l’inchiesta della procura fiorentina sui lavori del sottoattraversamento ha puntato l’indice, fra le tante, anche sulle procedure di smaltimento delle terre da scavo. Di qui le conclusioni degli attivisti no Tav: “Ora sarà curioso vedere come il Put, Piano di utilizzo terre, e l’esecutore delle opere gestiranno una quantità costante e consistente di terre da analizzare e da valutare: una operazione praticamente impossibile. Nella migliore delle ipotesi tutto sarà accatastato a Santa Barbara di Cavriglia, e lì rimarrà”.
Il problema, per i sostenitori del passante sotterraneo Tav, è che da tempo a Cavriglia monta la protesta popolare, di fronte all’ipotesi che nell’area di Santa Barbara sia depositata una enorme quantità di terre e rocce da scavo di dubbia consistenza. Un’ipotesi di fronte alla quale la stessa amministrazione comunale, a guida Pd, ha fatto sapere in via ufficiale di non essere disposta ad accettare materiale che potrebbe essere insicuro.
Sul punto, all’interno del protocollo che è parte integrante del parere tecnico della commissione del ministero dell’ambiente, sono definite le procedure di caratterizzazione e campionamento in corso d’opera delle terre e rocce da scavo prodotte nella realizzazione del passante sotterraneo. Il punto di attenzione principale è “l’utilizzo degli additivi impiegati durante gli scavi, nonché dei lubrificanti della fresa”. In aggiunta, non può mancare “la verifica ambientale dei materiali e della resistenza geotecnica” dei sette chilometri sotterranei del doppio tunnel.
Toccherà all’Agenzia regionale per la protezione ambientale, l’Arpat, vigilare sulla corretta esecuzione delle prescrizioni redatte dalla commissione. Compresa naturalmente l’analisi sistematica delle terre da scavo, nonostante che sul punto l’ad Gentile di Rfi sia a dir poco ottimista: “Quello che conta – sostiene- è che il materiale di scavo, dopo 30 giorni di stoccaggio, può essere considerato semplicemente ‘terra’ da riutilizzare”. E se invece le analisi rivelassero il contrario?