Nell’ottobre del 2004, realizzando la prima edizione di Terra Madre, l’incontro mondiale tra le comunità del cibo, portammo a compimento un lavoro iniziato 4 anni prima, con la creazione del Premio Slow Food per la biodiversità.

Il Premio, a sua volta, era figlio di un cammino iniziato 4 anni prima, quando in occasione del primo Salone del Gusto (autunno 1996) Slow Food aveva lanciato il progetto dell’Arca del Gusto e posto la tutela della biodiversità al centro della propria attività. L’associazione era nata solo 10 anni prima, con una vocazione edonistica temperata dall’attività di educazione del gusto e di indagine dei territori alla ricerca di prodotti, produttori, ricette, cuochi.

Era stata proprio la frequentazione dei territori a rivelare, ai primi attivisti di Slow Food, quanto fosse a rischio lo straordinario patrimonio di specie vegetali e animali e trasformati (pani, formaggi, salumi…) appartenenti alla cultura, alla storia e alle tradizioni delle comunità del nostro paesProprio le prime due edizioni del Salone del Gusto avevano contribuito al definitivo lancio di Slow Food come movimento internazionale. Mettendo sempre più spesso la testa fuori dal guscio dei confini nazionali, la chiocciola aveva così scoperto quanto il problema della drammatica erosione della biodiversità fosse globale, tanto quanto le cause che lo originavano.

Il Premio nacque proprio per dare un palcoscenico a quei contadini, pastori, artigiani, pescatori, cuochi, ricercatori, educatori, che con il loro lavoro (che non esitammo a definire eroico) contribuivano quotidianamente a mettere in sicurezza un pezzo di quel patrimonio. Grazie a una rete di 800 giornalisti e attivisti di Slow Food in tutti i continenti, per 4 anni (dal 2000 al 2003) riuscimmo a individuare circa un migliaio di candidati per ciascuna edizione.
In pochi anni ci trovammo per le mani 4 mila storie, altrettante comunità e altrettanti pezzi di biodiversità difesa con le unghie e con i denti negli angoli più remoti del pianeta. Un piatto troppo goloso ma soprattutto una responsabilità troppo grande, qualora non avessimo saputo come governare questo straordinario e ricchissimo database vivente.

Nacque così l’idea di Terra Madre, ovvero l’idea di non continuare a centellinare un premio che accendeva i riflettori solo su un manipolo di quegli eroi per cercare di far luce, attraverso loro, su tutto il mondo che essi avevano alle loro spalle (e sulle loro spalle). Invitammo a Torino tutti quelli che erano stati candidati al premio e altri ancora, che intanto la nostra rete (sempre più dinamica e motivata) aveva scovato e segnalato.

Ho voluto tracciare questa storia perché non posso negare il fatto che vivrò questa anomala edizione 2020 con un forte senso di nostalgia per quegli incontri fisici.
Quando a metà primavera di quest’anno ci siamo trovati di fronte al dilemma di cosa fare per l’edizione che avevamo messo in calendario dall’8 al 12 ottobre, non abbiamo avuto alcuna esitazione: Terra Madre si sarebbe svolta in ogni caso. E se i delegati dalla rete delle comunità del cibo di tutto il mondo non potevano venire a Torino e in Piemonte, lo spirito dell’incontro torinese li avrebbe raggiunti a casa loro e avrebbe animato le loro comunità. Terra Madre mette in connessione le persone e attraverso questa relazione ne rafforza l’operato, consegna a chi è parte di questa rete consapevolezza, dignità, autorevolezza.

Poteva tutto ciò tacere nell’anno più difficile della nostra storia contemporanea? Potevamo rimandare tutto, proprio nel momento in cui maggiore e più necessario è l’ascolto delle voci di queste comunità? Potevamo non consentire quell’abbraccio che – anche se virtuale – resterà fortissimo? Non potevamo, non volevamo. E così da domani e per ben 6 mesi le nostre comunità troveranno un modo nuovo di fare sentire la loro voce, ancora più forte. Una voce che grazie alla capillarità degli eventi fisici e al potenziale degli strumenti digitali potrà raggiungere un numero ancor più ampio di persone.