A fronte di un fatturato complessivo di 1,4 miliardi di euro, il conto aziendale delle acciaierie Tk Ast di Terni, depositato ieri, registra una perdita di 127, 6 milioni. Tuttavia la situazione non è preoccupante come potrebbe sembrare, almeno dal punto di vista finanziario.

Il “rosso” si riferisce infatti al settembre dello scorso anno, a causa di un fisiologico ritardo di 9 mesi dovuto all’allineamento dei bilanci tra il sito umbro e la Thyssenkrupp che ne è proprietaria.

Nel 2015, stando a quanto emerso da un recente confronto tra l’ad Thyssen Lucia Morselli e le segreterie locali Cisl, Cgil e Uil, il conto sarebbe infatti già in pareggio, complici l’incorporazione delle controllate Tubificio, Aspasiel e Società delle Fucine, la leggera ripresa delle spedizioni di acciaio, i tagli del personale e quelli sugli appalti di numerose ditte dell’indotto.

Diversa è però la storia se la si guarda dall’interno della fabbrica, dove i numeri lasciano spazio al lavoro vivo, in carne e ossa.

Dopo la fuoriuscita di oltre 400 lavoratori – le stime ufficiali, per quanto paradossale possa apparire, ancora non si conoscono – che hanno accettato l’incentivo dell’azienda a lasciare l’occupazione, la direzione aziendale, a inizio anno, ha promulgato una nuova organizzazione del lavoro.

Nessuna nuova assunzione, con il processo produttivo che pesa interamente sulle spalle di chi è rimasto, il personale impiegato in mansioni diverse da quelle per cui è stato formato e un ricorso record agli straordinari. In compenso sono stati inseriti in organico una ventina di consulenti, più o meno esperti nel settore, pagati lautamente.

«In nessun reparto dello stabilimento l’organizzazione interna è il frutto di un accordo sindacale e tutto va avanti a singhiozzo – spiega Stefano Garzuglia, Rsu Fiom – È un problema persino rispettare la legge che impone un riposo di 11 ore tra un turno e l’altro. C’è chi è costretto a fare 12 o 16 ore consecutive di lavoro; un rischio altissimo per la sicurezza, ma manca il personale. Si lavora di più in meno persone, con più fatica, più stress e meno lucidità. Certo che i conti alla fine torneranno – afferma ancora Garzuglia – ci spremono. Il contratto nazionale prevede un massimo di 80 ore per lo straordinario. In Ast siamo molto oltre».

All’interno dello stabilimento l’Asl è stata chiamata più volte e, dopo la constatazione dello stoccaggio di materiale in ambiente improprio, a causa della mancanza di un parco rotoli adatto ai grandi rotoli di laminato e la conseguente dispersione di fumi all’interno del reparto, ha obbligato l’azienda a intervenire.

La produzione non si è mai interrotta così spesso come negli ultimi mesi, con gli impianti fermati quasi ogni giorno per questioni legate alla sicurezza.

«Alcuni capiturno e capireparto – racconta Yuri, operaio del Tubificio Ast – si sono addirittura autodemansionati per non assumersi la responsabilità di controllare una situazione diventata ingestibile».

Il mancato rispetto delle prescrizioni contrattuali in materia di ferie e rimpiazzi ha inoltre fatto scattare una denuncia all’Ispettorato provinciale del lavoro, di cui si è in attesa del responso.

A settembre comincerà una serie di assemblee focalizzate sulla vita interna alla fabbrica. E tutto lascia presagire una ripresa del conflitto.