Ogni volta che un’azienda va in crisi in Italia partono gli avvoltoi. Si tratta di schiere di sedicenti imprenditori assetati di fondi pubblici, quelli previsti per la riconversione industriale. Per ottenerli spesso si inventano fantasmagoriche alleanze internazionali – da un decennio buono va di moda «la partnership con un gruppo cinese» – e progetti «decennali» che non partono mai. Ad aiutarli arriva subito Invitalia, braccio operativo del ministero dello Sviluppo da dodici anni in mano a Domenico Arcuri, che finanzia buona parte di queste intraprese costantemente in perdita.

LA VERGOGNOSA STORIA di Termini Imerese – con 16 milioni scomparsi e 800 lavoratori a rischio fortissimo di licenziamento – non è la prima e purtroppo non sarà l’ultima. Di certo è la più lunga e tormentata. Ieri ha visto scrivere la pagina giudiziaria più brutta: l’arresto (ai domiciliari) della coppia – Roberto Ginatta e Cosimo Di Cursi – a capo di Blutec, la costola della Fiat che doveva prenderne il posto nello stabilimento chiuso da Marchionne nel 2011, producendo briciole e componenti per l’attuale Fca.

Fallito il tentativo del molisano Di Risio che voleva assemblare a Termini Imerese i suoi Suv con pezzi provenienti dalla Cina, la proposta dell’amico e socio di Andrea Agnelli Ginatta sembrò sensata. Veicoli e componenti elettrici prodotti in gran parte per Fca e per altre controllate dello stato come Poste.

Ma subito iniziarono le stranezze. Ai ritardi per ogni passo del piano industriale si sovrappone una compartecipazione assai sospetta: tra i sottoscrittori del fondo Invitalia ventures oltre al ministero dello sviluppo, alla Banca europea per gli investimenti, al gruppo Cisco e alla Fondazione bancaria di Sardegna, figura anche il gruppo Metec di Ginatta.

La notizia uscì a febbraio 2018 e da quel momento i sindacati furono ancora più guardinghi rispetto all’uso dei fondi pubblici e ai ritardi della Blutec che a tre anni dall’avvio del progetto è riuscita a produrre solo qualche pezzo di Ducato elettrico e a riassumere 150 degli 800 superstiti della Fiat che ai bei tempi aveva oltre 3mila operai, senza considerare l’indotto.

LA CONFERMA CHE IL PROGETTO Blutec stava crollando arrivò quando anche la stessa Invitalia decise di farsi rendicontare l’uso dei milioni pubblici, arrivando addirittura a chiedere indietro 14 milioni.
Il tutto ha attraversato governi di centrodestra e centrosinistra e ora il «governo del cambiamento» con Di Maio ministro. Che alle continue proteste degli operai – in questi anni non si contano le occupazioni del municipio di Termini Imerese – ha risposto abbozzando e solo a fine febbraio è andato a trovare gli operai promettendo il rinnovo della cassa integrazione straordinaria senza la quale a breve molti sarebbero già senza lavoro.

COME IN TUTTE LE TRAGEDIE si è arrivati anche alla farsa. Nell’ultimo tavolo di crisi del mese scorso mentre i sindacati chiedevano del rimborso dei fondi pubblici – e i tecnici del ministero, forse sapendo dell’inchiesta, lasciavano glissare Gianatta – toccava a Di Cursi lanciarsi in nuove mirabolanti promesse di nuovi modelli di veicoli. Uno di questi avrebbe dovuto chiamarsi «Spiaggina»: una vecchia piccola 500 tagliata a mo’ di cabriolet, elettrica che sarebbe servita a trasportare i turisti dei resort italiani. Il tutto «grazie ad una idea di Lapo Elkann».

IERI POMERIGGIO GLI OPERAI di Termini Imerese sono riusciti ad entrare nello stabilimento superando il blocco e a tenere un’assemblea. Grande la preoccupazione dei segretari di Fim, Fiom e Uilm che hanno subito chiesto un incontro al commissario nominato dal tribunale.

«L’arresto dei vertici di Blutec mette a rischio l’occupazione di oltre un migliaio di lavoratori complessivi da Termini Imerese a quelli del Piemonte, dell’Abruzzo e della Basilicata. È urgente la convocazione di un tavolo al Mise per trovare tutti gli strumenti utili a metterli in sicurezza e dare continuità alle produzioni», dichiara il segretario nazionale della Fiom Michele De Palma. «Nell’ultimo incontro al Mise la proprietà ha presentato quello che abbiamo definito un piano industriale di “carta”. Nelle prossime ore decideremo con i lavoratori le iniziative da intraprendere», conclude.