Orecchie grosse e cervello fino. Si può sintetizzare così l’attrazione che nella musica popular brasileira le zone “basse” finiscono prima o poi per esercitare su quelle “alte”. Fuor di metafora anatomica, l’insofferenza alle gerarchie intellettuali e ai ranghi della creazione artistica qui è strutturale. Ma a fasi alterne, perché quel che ha bisogno di essere rivalutato oggi è sicuro che in altri tempi sia stato viceversa svalutato. Questo, per dire, è il momento giusto per riandare a una serie di artisti degli anni ’70 e ’80, nomi mai sfiorati dall’aura magica che circonda i tropicalisti.

Non solo Sergio Sampaio, Raul Seixas e Tim Maia. Prendete Angela Ro Ro, col suo pathos lesbico e drammatico, oltraggiosa e attaccabrighe, più volte incarcerata ma per reati che vanno dalla rissa al traffico di stupefacenti, non certo perché invisa alla dittatura. La sua è una galleria di amori eccessivi e disperati, cantati a cuore aperto, una raucedine anche dell’anima graffiata, oltre a quella vocale a cui deve il soprannome (la erre carioca di «Ro Ro» è moscia di rigore moscia). Gli artisti più smaliziati della nuova scena indipendente (Lucas Santtana, Kiko Dinucci, Gustavo Galo, per citarne solo alcuni) si sono ripresi le sue canzoni e le hanno farcite di stridori odierni per Coitadinha, bem feito (Joya Moderna). Ben fatto davvero. Altra collettanea che funziona come “terapia di riabilitazione” è Vou Tirar Você desse Lugar, un modo di ripensare a Odair José, bollato da sempre come escapista estremista. Le sue canzoni. le stesse che facevano inorridire le élite musicali, tornano con altri esiti negli arrangiamenti di Pato Fu, Mombojó, Titã Paulo Miklos o Zeca Baleiro. E il genere negletto di cui José è stato un divo senza pari, il brega, nato nel Brasile profondo dell’estremo nord paraense, dopo le rivisitazioni in chiave elettronica del tecno-brega riceve una legittimazione a tutto tondo da parte di Felipe Cordeiro. In Kitsch Pop Cult e ancora di più nel recente Se Apaixone pela Loucura do Seu Amor, in cui brega, carimbó e persino la famigerata lambada risuonano in un composto frizzante e contagioso.

Intanto all’orizzonte si profila il rilancio, senza mediatori generazionali né ritocchi vistosi, ma con un nuovo album di inediti, di un altro nome un tempo impresentabile nei salotti radical di Rio e San Paolo: quello di Vanusa, ex stellina della Jovem Guarda caduta poi in disgrazia per una versione completamente sballata dell’inno brasiliano davanti all’Assemblea nazionale. Accadeva nel 2009, ma già oggi c’è chi la vorrebbe a cantare l’inno per le Olimpiadi 2016. Se non è arte del ripescaggio questa…