Il secondo decreto annunciato dal governo per fronteggiare l’emergenza arriverà stamattina, o al più tardi nel pomeriggio. Avrebbe potuto essere licenziato già ieri, dal momento che di ministri, nella sede della Protezione civile, ce n’erano tanti, in contatto continuo con i governatori, da garantire il numero legale. Ma il testo è lungo e complesso, cinque pagine piene, e la trattativa con i governatori articolata. Il dl arriverà quindi solo oggi.

IL VENETO, CHE CHIEDEVA la fine dell’emergenza e la riapertura delle scuole, non l’ha spuntata. Decisivo il parere del Comitato tecnico, secondo cui i rischi di allargamento del contagio sarebbero ancora troppo alti. Nella Regione guidata da Zaia, come in Lombardia e Piemonte, le scuole e le università resteranno chiuse fino all’8 marzo. Gli studenti non rischiano comunque di perdere l’anno, essendo stata sospesa la norma che invalida l’anno scolastico con meno di 200 giorni di lezioni. Gli istituti riapriranno invece in Friuli, in Piemonte, ma a partire da mercoledì per consentire la disinfestazione, e in Liguria, ma qui Toti insiste per la chiusura degli istituti di Savona. Continua invece il contenzioso con le Marche, influenzato anche dalle elezioni imminenti. Resta in «osservazione speciale» la situazione della provincia Pesaro-Urbino, nella quale si sono registrati tutti gli 11 casi di contagio nella regione, e il governatore Ceriscioli insiste per confermare la chiusura delle scuole. Restano sospese le gite scolastiche.

I MUSEI RIAPRIRANNO e anche i bar nelle zone rosse potranno tornare a schiudere i battenti, purché siano in grado di garantire una «distanza di sicurezza» tra gli avventori. Le partite programmate a porte chiuse saranno rinviate al 13 maggio, prima data utile, e la finale di Coppa Italia al 20 maggio. Il dl contiene una quantità di ulteriori norme più specifiche, come quella che permette ai laureati in medicina e chirurgia che non hanno potuto sostenere il rinviato esame per l’abilitazione di partecipare comunque, con riserva, ai corsi di formazione.

Nel decreto saranno marcate le tracce dello scontro tra governo centrale e amministrazioni locali che nei primi giorni della crisi ha creato veri e propri momenti di caos. Le ordinanza dei sindaci, quelle che più di ogni altro elemento avevano determinato l’«ordine sparso» delle istituzioni di fronte al virus, non potranno essere adottate se «in contrasto con le misure statali».

SONO INTERVENTI, QUELLI varati negli ultimi due giorni, che cercano di fronteggiare le principali emergenze immediate, soprattutto sul piano del sostegno economico a lavoratori e imprese. Non sono certo sufficienti per affrontare una crisi di lunga durata e a maggior ragione per misurarsi con una possibile, anzi probabile, crisi economica di prima grandezza innescata sì dal virus, ma aggredendo una situazione complessiva che era già di per sé molto debole. Le previsioni che circolavano ieri sono da brivido: una perdita secca tra l’1 e il 3% del Pil, dai 9 ai 27 miliardi. Il premier Conte non nasconde l’insufficienza delle misure di primo intervento decise nei giorni scorsi, anzi, ai margini del lunghissimo vertice di ieri nella sede della Protezione civile, ammette senza perifrasi: «Non ci accontenteremo. Stavamo già lavorando a una terapia d’urto, a un complessivo provvedimento di rilancio dell’economia del Paese». È la famosa «cura da cavallo» di cui Conte aveva parlato più volte, senza che si traducesse mai in progetti effettivi, rafforzata dal netto peggioramento del quadro complessivo.

QUEL CHE CONTE e prima di lui il ministro Roberto Gualtieri non dicono ma che è evidente a tutti è che qualsiasi terapia, nel quadro che si sta creando, passa per uno sforamento molto drastico del patto di Stabilità. «Chiederemo al parlamento l’autorizzazione a scostarci dai saldi di bilancio anche in deficit», annuncia la viceministra 5 Stelle dell’Economia Laura Castelli. «Bene i primi provvedimenti, che però non bastano affatto», conferma Buffagni, anche lui viceministro 5S allo Sviluppo: «L’Italia dovrà fare un grande sforzo esigendo ciò che è giusto in Europa». Gualtieri per ora non si espone. Ma l’Italia aspetta solo il momento più opportuno per chiedere a Bruxelles una flessibilità probabilmente senza precedenti. La richiesta al parlamento di autorizzare uno sforamento di almeno tre miliardi potrebbe essere avanzata già nel corso della prossima settimana.