Non è neanche a pezzi, la guerra mondiale contro il matrimonio che papa Bergoglio ha evocato ieri a Tblisi, in un’ora di conversazione a braccio con i sacerdoti e religiose e religiosi locali nella cattedrale di S. Maria Assunta.

Una guerra condotta da quella che a tutti gli effetti rimane l’unica ideologia considerata veramente pericolosa, la teoria del gender. Oggi «un grande nemico» del matrimonio» – ha detto – è “la teoria del gender. Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio … ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee», sono le «colonizzazioni ideologiche che distruggono». Per questo occorre «difendersi dalle colonizzazioni ideologiche».

Papa Francesco rispondeva a una donna che parlava delle difficoltà nel matrimonio. «Quanti matrimoni – ha proseguito – si salvano se hanno il coraggio, alla fine della giornata, non di fare un discorso, ma una carezza, ed è fatta la pace. Ma è vero, ci sono situazioni più complesse, quando il diavolo si immischia e mette una donna davanti all’uomo che gli sembra più bella della sua o quando mette un uomo davanti ad una donna che sembra più bravo del suo».

Bella e bravo. L’antropologia di papa Francesco è sempre molto concreta, molto attenta alla vita reale. C’è una conoscenza in questi due diversi aggettivi, che connotano i diversi desideri dei mariti e delle mogli. Una visione tradizionale, ma non distante dalle dinamiche reali, anche se ovviamente la più brava delle mogli può perdere la testa per il più bello degli uomini. Lo sottolineo, perché mi colpisce che lo sguardo umano, realistico del Papa più spiazzante della storia recente, si blocchi di fronte alle teorie del gender, agitate come un vero e proprio spauracchio. Il volto conservatore e reazionario di una guida religiosa sotto tutti gli altri aspetti aperto, innovatore, inclusivo.

Cosa tiene fuori dalla Chiesa, Bergoglio, assumendo come integralmente propria la battaglia contro l’ideologia del gender? La conservazione dei valori patriarcali? La difesa di valori irrinunciabili?

Mi vengono in mente due ipotesi, e le espongo qui come tali.

La prima è di carattere generale. Con la commissione di studio sulle diacone, papa Francesco ha aperto una strada che suona minacciosa alla parte più conservatrice della Chiesa. Per questo sostiene la dottrina più rigorosa. Soprattutto in una missione difficile come il viaggio nel Caucaso, che si conclude oggi in Azerbaigian. Molto importante, ma con risultati ancora incerti. Le distanze dottrinali rimangono profonde, il clero ortodosso è stato amichevole, ma anche diffidente. Alla messa del mattino la partecipazione è stata bassa.

L’altra ipotesi è legata alle circostanze. Al Patriarca caldeo di Bagdad, Louis Raphael I Sako, che lo invitava a recarsi in Irak, aveva risposto «Inshallah». Mai un papa ha usato questa espressione della devozione musulmana. Un’audace apertura rispetto a una severa chiusura.

Come dire progressista nel mondo, conservatore rispetto ai ruoli sessuali. Insomma, patriarcale.