La carta d’identità è rilasciata a Joseph Girard, professione marmista scultore, cittadino francese nato il 18 aprile del 1915 a Tlemcen, antica città del montagnoso entroterra algerino, al confine col Marocco.
Occhi blu grigi; naso regolare; forma del viso ovale, si legge. E un bel volto di giovane uomo mostra la fotografia, applicata con tanto di timbro fiscale da quindici franchi. Non risulta la data in cui la carta fu rilasciata a Girard, ma pare giusto ritenere possa risalire agli anni tra il 1939 e il 1942.

Allo scoppio della guerra, sappiamo, Girard si era arruolato nella Legione Straniera. La Francia sconfitta, il giovane scultore, lascia la Legione per combattere nelle file della Resistenza, nel maquis del sud-est.

Solo alla fine della guerra, a trent’anni compiuti, Joseph potrà rinnovare il suo documento d’identità e sostituire quei dati anagrafici, assunti quando, nel 1936, esule antifascista, giunse dall’Italia ad Annemasse in Savoia e poi a Grenoble.

Così torna ad essere Gigi Guadagnucci nato ai piedi delle Alpi Apuane, a Castagnetola, vicino a Massa, in una famiglia di cavatori. Resta qualche anno a Massa, espone a Firenze ma, dall’inizio degli anni Cinquanta, per oltre un trentennio, la sua crescita d’artista si svolgerà a Parigi. Alle sue Alpi in faccia mare, Guadagnucci fa ritorno quando il suo prestigio di scultore è universalmente riconosciuto. A Bergiola, sulle pendici della Brugiana, quasi centenario, si spegne nel settembre del 2013.
Il Comune di Massa, istituendo il Museo Gigi Guadagnucci, ha deciso di accogliere degnamente nella prestigiosa Villa della Rinchiostra dei Cybo Malaspina il lascito delle importanti opere che l’artista ha voluto destinare alla sua città. La fama dello scultore è di gran lunga al di sotto della sua grandezza. Presenti i suoi marmi in musei d’Europa e d’America; realizzate opere monumentali in Francia, in Italia, in Giappone; la collezione ordinata ora alla Rinchiostra offre una felice occasione per accostarsi alla fascinosa ricerca che Guadagnucci conduce con costanza nel corso degli anni.

Qui sono accolte opere importanti che danno conto delle realizzazioni e dei raggiungimenti di un quarantennio. «Amo realizzare volumi che si accordano tra loro. Improvviso entro il marmo con una sorta d’entusiasmo musicale, giacché io cerco innanzi tutto di rendere la materia leggera, translucida, sensuale, armonica, ritmica, e di dare il sentimento che le mie sculture danzino, vibrino, s’involino». Questa dichiarazione di poetica autorizza Guadagnucci ad affermare l’indipendenza del suo percorso: «Come volete voi ch’io appartenga a qualche corrente o parrocchia che sia», si chiede.

E confessa la sua ambizione: «Non desidero che l’esigente amicizia del marmo». «Questi foglietti sottili di marmo», ha scritto Jean Clair, «mi piacerebbe chiamare litofanie». Il marmo appare, si mostra. Esigente amicizia quella che il marmo richiede per mostrarsi, apparire. Rivelarsi. Fernando Mazzocca dice d’una straordinaria «capacità di ‘scolpire in diretta’, senza bisogno di modello», che «non finiva mai di sorprendere, pensando anche a quanto gli scultori contemporanei abbiano delegato l’esecuzione».

Nel contatto diretto soltanto, soltanto nel tocco calibrato, nella misura leggera che sfiora, nel tastare delicato risiede il segreto che rivela la tenuità del marmo, libera la sua vaporosità, fino a sublimarlo in pura luce.

Pare a me stia qui l’alta lezione di Guadagnucci. All’esigente Guadagnucci il marmo amico si rivela, affida la sua intimità a «Germination», a «Passaggio di meteora piccola», a «Ritmi lamellari».