Il progetto di «democrazia illiberale» praticata, e teorizzata, da Viktor Orbán, è stato sanzionato dal parlamento di Strasburgo, ma il modo in cui si è arrivati a questo voto più che esorcizzare la minaccia, sembra solo posizionarla altrimenti nella prospettiva di una ridefinizione complessiva delle destre continentali.

IL PARTITO POPOLARE europeo, del quale fa parte il Fidesz, il movimento del premier ungherese, aveva concesso libertà di voto ai propri membri per evitare una spaccatura plateale; minaccia che non è stata comunque evitata del tutto e che ha finito per evidenziare la crescente porosità di una parte del blocco conservatore alle sirene del nazional-populismo. Se c’è chi sta pensando di escludere Orbán dal Ppe, e guarda magari ad un rapporto privilegiato con Macron, in Italia, Francia, Spagna e in più di un paese del Nord Europa l’ipotesi di un’alleanza con le nuove destre è più o meno apertamente in campo.

DEL RESTO, alla vigilia del voto, il capogruppo del Ppe a Bruxelles, l’esponente dei cristiano-sociali bavaresi Manfred Weber, aveva fatto appello ad Orbán per evitare – soprattutto – lo scontro fratricida nel centrodestra. Proprio Weber però, indicato da Merkel per la successione a Juncker alla guida della Commissione europea, solo pochi giorni prima aveva annunciato la sua candidatura con una serie di interviste nelle quali esprimeva forti aperture nei confronti dello stesso Orbán, oltre che del polacco Kaczynski e di Salvini.

LA SCELTA DI WEBER per il dopo-Junker era stata interpretata da molti osservatori proprio come un tentativo di stendere un ponte verso l’estrema destra data in forte crescita nelle elezioni europee del prossimo maggio. Esponente della Csu, come il ministro degli Interni di Berlino, Horst Seehofer, che plaude all’operato di Salvini sull’immigrazione, Weber potrebbe essere l’uomo giusto per trattare un cambio di partnership che rimpiazzi la Große Koalition in atto con il Partito del Socialismo Europeo. La partita giocata intorno al «caso Orbán» servirebbe in questo caso principalmente a ristabilire i rapporti di forza in vista di una possibile nuova alleanza, ribadendo che la svolta a destra dell’Europa politica è possibile, ma senza eccessive corse in avanti e sotto l’egida del Ppe.

Non a caso, tra i fautori della fermezza nei confronti di Budapest si è segnalato il giovane cancelliere austriaco Sebastian Kurz, astro nascente del nuovo centrodestra, che guida un governo di coalizione con i razzisti dell’Fpö. Quello austriaco potrebbe divenire così un «modello» per tutta la Ue? È presto per dirlo, anche se quello di Vienna è un caso tutt’altro che isolato che vanta già epigoni in Danimarca, Finlandia e, sulla soglia della zona Euro, in Norvegia. Ma a cui guardano, come detto, anche molti affiliati Ppe nel Sud Europa.

LA PROSPETTIVA di un cambio di alleanze in Europa resta inoltre tutta aperta a destra anche per la presenza di ben tre gruppi parlamentari che comprendono diverse forze populiste destinate a incrementare i propri numeri a breve: quello dell’Europa delle nazioni, l’asse Salvini-Le Pen, forte di 35 eletti; quello dei Conservatori e riformisti che comprende le truppe del partito-regime polacco Diritto e Giustizia, che ne conta 73 e, infine, l’Europa della Libertà e della Democrazia, dove, fin qui, accanto agli eletti dei Cinque Stelle siedono i rappresentanti dell’Afd tedesca e dei Democratici Svedesi, oltre a quelli dell’Ukip britannico, già fautore della Brexit.