In meno di 24 ore si è prodotta nella maggioranza un’incrinatura meno vistosa ma forse persino più profonda delle molte già note. Per quanto solo provvisorio ed esposto quindi a nuovi scontri e a nuove trattative, il testo del decreto Semplificazioni partorito al termine di una lunga maratona notturna all’alba di ieri non è affatto indolore. Fa essenzialmente proprie le istanze di Italia viva, dell’ala governista del Movimento 5 Stelle e di Confindustria, ma anche di Forza Italia e della Lega, che infatti nel merito non riescono a essere critiche, mentre penalizza quelle dell’ala che aveva invano cercato di evitare che semplificazione si traducesse con deregolamentazione, cementificazione, mano libera sul territorio.

Arrivato al momento della decisione semifinale, Giuseppe Conte ha confermato quello sbilanciamento a destra che era già apparso chiaro in alcune delle scelte più discutibili del decreto Rilancio e negli omaggi a Confindustria degli Stati generali. E’ uno schieramento non solo sociale ma anche politico. All’inizio di una fase che prevede essere difficile e rischiosa il premier guarda quanto meno con palese interesse al possibile soccorso azzurro, a quell’intesa con Forza Italia, in autunno, che molti nel Palazzo già indicano come una maggioranza rossoblu dopo quelle gialloverde e giallorossa.

Con una maggioranza ridotta all’osso, divisa e soprattutto sempre più animata dalla diffidenza di tutti nei confronti di tutti, l’eventualità di un possibile e forse probabile incidente imprevisto è nell’ordine delle cose. Lo si è visto ieri al Senato, quando per alcune ore il voto sulla Libia ha tenuto tutta la maggioranza con il fiato sospeso. Anche in questo caso, del resto, il premier ha ribadito nei fatti la strategia dell’attenzione a destra. Il governo si è opposto quasi sino all’ultimo momento alla richiesta di voto separato sul rifinanziamento delle missioni all’estero, nonostante sapesse che per una componente trasversale della maggioranza, presente in tutti i partiti, non era possibile accettare la conferma e anzi il rafforzamento del sostegno alla Guardia costiera libica, nonostante le continue violazioni dei diritti umani. Lo sgarbo, che per un po’ è sembrato mettere in pericolo persino l’approvazione dell’intera risoluzione sulle missioni all’estero, è spiegabile solo in parte con il tentativo di ricattare i dissidenti agitando lo spauracchio della bocciatura della risoluzione e quindi di una crisi di governo che a quel punto sarebbe stata inevitabile.

Questo calcolo ricattatorio c’era di sicuro ma c’era anche e forse soprattutto il tentativo di porre le basi per la possibile “revisione” della maggioranza in autunno. Il governo, convinto a torto che Lega e FdI avrebbero votato contro la sua risoluzione, puntava proprio sui “responsabili” di Forza Italia. Quasi una prova generale di quel che potrebbe succedere in autunno se la maggioranza esplodesse, magari proprio sul nodo irrisolto del Mes, e fosse necessario rimpiazzare la sua ala più radicale, in particolare dei 5 Stelle.

In parte è certamente inevitabile che in una situazione così rischiosa, con un autunno da brivido di fronte e senza una vera coalizione dotata di un progetto comune alle spalle, Conte, che del resto in questi equilibrismi eccelle, tenga ben presente ogni possibilità di salvezza ove la situazione precipitasse. Il problema è che proprio le sue manovre e le sue oscillazioni finiscono per diventare un ulteriore elemento di destabilizzazione della maggioranza stessa. Forse il più subdolo e pericoloso. Di certo quello che semina oggi più di ogni altro sospettosità e tensione.