È scontro aperto tra il ministero dell’istruzione palestinese e l’Unrwa dopo l’intenzione annunciata dall’agenzia dell’Onu, che assiste i profughi palestinesi, di riformare i libri di testi usati nelle sue scuole in Cisgiordania e Striscia di Gaza. Le rassicurazioni giunte dall’Unrwa – i cambiamenti non saranno sostanziali – non hanno convinto il ministero che denuncia la volontà delle Nazioni Unite di voler imporre ai palestinesi la narrazione storica e culturale che fa Israele. «Qualsiasi distorsione del curriculum palestinese è una flagrante violazione delle leggi dello Stato ospitante», un «tradimento della nostra storia» e «del popolo palestinese che è sotto occupazione», era scritto qualche giorno fa in un comunicato ripreso dall’agenzia di stampa dell’Anp Wafa. I cambiamenti che l’Unrwa avrebbe intenzione di apportare prevedono la revisione delle mappe per escludere richiami a città ora in Israele e, secondo alcune fonti, anche frasi nei libri di storia e di educazione civica che sarebbero «prive di obiettività» o inciterebbero «alla violenza contro Israele».

Per i palestinesi l’Unrwa si è piegata non solo alle pressioni israeliane – l’agenzia dell’Onu spesso è stata accusata dai dirigenti dello Stato ebraico di essere sbilanciata a favore dei palestinesi se non addirittura collusa con «attività terroristiche» – ma anche a quelle dell’Amministrazione Trump che si è data il compito di mettere fine a quelle che definisce le «posizioni anti-Israele» al Palazzo di Vetro. Di recente gli Usa hanno bloccato la nomina a inviato speciale dell’Onu in Libia dell’ex premier palestinese Salam Fayyad. «Ai vertici delle Nazioni Unite – spiegava ieri al manifesto un funzionario delle Nazioni Unite a Gerusalemme che ha chiesto l’anonimato – è forte il timore che Trump possa tagliare i fondi Usa all’Onu e tutti si sono fatti più cauti. E questo spiega almeno in parte la decisione di emendare i testi nelle scuole dell’Unrwa in Cisgiordania e Gaza». L’Unrwa nega di agire sotto pressione di qualcuno. Tuttavia devono aver avuto un impatto le critiche israeliane successive alla pubblicazione, lo scorso gennaio, di un’indagine svolta da due ricercatori, Arnon Gross e Ronni Shaked, del Truman Institute presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. I due hanno denunciato la mancanza nei libri di testo palestinesi di riferimenti al legame degli ebrei alla Terra di Israele e alla città di Gerusalemme.

La negazione dell’altro in realtà avviene anche nelle scuole israeliane. L’anno scorso, ad esempio, il ministero dell’istruzione guidato dal nazionalista religioso Naftali Bennett ha diffuso il nuovo libro di testo di educazione civica che contiene poche righe sull’esistenza dei palestinesi in Israele e sull’occupazione militare di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Nel libro i palestinesi sono quasi del tutto ignorati e non sembrano non avere alcun legame storico e culturale con la terra in cui vivono. Si legge che «la versione palestinese (della guerra del 1948) sostiene che la maggior parte dei rifugiati sono stati espulsi con la forza ma in Israele è ormai comunemente accettato che la maggior parte dei profughi sono fuggiti».

Il testo fornisce numeri sui rifugiati decisamente inferiori rispetto da quelli ufficiali delle Nazioni Unite. Gli autori non mettono in alcuna relazione gli arabo israeliani (i palestinesi in Israele) e i palestinesi in Cisgiordania, quasi tacciono sull’occupazione che dura da 50 anni e non fanno alcun riferimento agli insediamenti coloniali costruiti nei Territori occupati in violazione delle leggi internazionali. E infatti nel libro è scritto che c’è una «disputa»: i territori che Israele catturò nel 1967 sono «occupati» o «liberati»? La docente universitaria Nurit Peled Elhanann, nel suo libro “La Palestina nei testi scolastici di Israele”, spiega che gli arabi sono rappresentati come profughi in strade e luoghi senza nome. «Nessuno dei libri (di testo)», aggiunge, «contiene fotografie di esseri umani palestinesi e tutti li rappresentano in icone razziste o immagini classificatorie avvilenti come terroristi, rifugiati o contadini primitivi».