Forte attacco di febbre nelle relazioni tra Gran Bretagna e Ue. Bruxelles ha inviato ieri una lettera formale a Londra, per avvertire che è stato avviato il primo passo di una “procedura d’infrazione” contro la Gran Bretagna, che è nel periodo di transizione verso l’uscita definitiva dall’Europa, prevista il 31 dicembre di quest’anno, dopo aver abbandonato il blocco il 31 gennaio scorso, e quindi è ancora sottoposta alle leggi della Ue.

LA COMMISSIONE aveva posto una deadline a Londra, per rivedere le questioni problematiche dell’Internal Market Bill, quel progetto di legge nazionale, già passato alla Camera dei Comuni e che sarà esaminato dai Lord la prossima settimana, che dà alla Gran Bretagna la possibilità di rimettere in discussione dei punti del Protocollo sull’Irlanda del Nord, concluso con Bruxelles, un pre-requisito indispensabile per poi avviare i negoziati per le relazioni future, dopo la Brexit.

Il progetto di legge britannico sul mercato interno è «una violazione dell’obbligo di agire in buona fede» per Bruxelles. Persino Londra ha ammesso che «infrange le legge internazionale» anche se «leggermente». Ma per la Commissione l’accordo di ritiro ha forza legale come trattato internazionale e l’Internal Market Bill lo viola.

Bruxelles aveva invitato «gli amici britannici a togliere le parti problematiche dell’Internal Market Bill entro fine settembre». Londra non lo ha fatto e quindi è partita la prima mossa della procedura di infrazione. Si tratta di una lunga strada, che può portare fino alla Corte di Giustizia europea e a delle penalità. Ma i tempi sono lunghi. Intanto, l’Internal Market Bill non verrà approvato definitivamente prima di dicembre.

IERI, LA GRAN BRETAGNA ha reagito facendo sapere che «risponderemo alla lettera (di Bruxelles) a tempo debito, abbiamo chiaramente esposto le nostre ragioni per le misure relative al Protocollo sull’Irlanda del Nord». Londra fa valere che «abbiamo bisogno di una rete di salvataggio per proteggere l’integrità del mercato interno del Regno unito».

Il Protocollo prevede che l’Irlanda del Nord continui a rispettare le norme Ue pur essendo parte del mercato interno britannico, stabilendo di fatto una “frontiera” all’interno della Gran Bretagna. Questo per evitare di mettere una frontiera tra le due Irlande, condizione dell’accordo di pace del Good Friday che aveva messo fine alle violenze nel 1998. Ma Boris Johnson vuole le mani libere e non avere intralci esterni. Londra era stata avvertita della possibilità della lettera di avvertimento dal commissario Maros Sefcovic, ma Michael Gove, un brexiter convinto nel governo di Johnson, aveva risposto con un’alzata di spalle.

La Commissione ha precisato ieri che, malgrado l’avvertimento, «continuerà a lavorare duro per una piena realizzazione dell’Accordo di ritiro, nei tempi previsti». «Noi manteniamo gli impegni», ha ribadito. Cioè, non sarà Bruxelles a lasciare il tavolo dei negoziati, malgrado le provocazioni di Boris Johnson. La Ue non vuole essere accusata di un eventuale fallimento della trattativa, manovra che persegue grossolanamente Johnson.

LE TENSIONI PERÒ preoccupano. Ieri, in apertura del Consiglio europeo dedicato alle crisi internazionali, il primo ministro irlandese, Micheal Martin, ha sottolineato che il Protocollo sull’Irlanda del Nord «deve essere onorato». Martin ha ricordato che l’Irlanda continua a essere impegnata nei negoziati in corso in vista di un accordo tra Gran Bretagna e Ue. Il negoziatore Ue, Michel Barnier, insiste sul fatto che prima di aprire un negoziato sulle relazioni future bisogna arrivare a un accordo completo sul trattato di ritiro, che deve comprendere anche un accordo sulla pesca.

Adesso, la Gran Bretagna ha un mese per rispondere alla lettera di Bruxelles. A quel punto, la Commissione, «dopo l’esame delle osservazioni» di Londra «o in assenza di osservazioni», «se lo giudica opportuno potrà decidere di emettere un avviso motivato».