Che cosa cerca il lettore nel racconto della vita di uno scrittore da parte di un parente stretto? Qualcosa che non ha trovato nelle biografie ufficiali, un’idea, una rivelazione, uno spunto che gli possa essere utile per approfondirne la conoscenza e, nei casi migliori, affrontare sotto una luce parzialmente nuova i suoi romanzi. Senza dubbio non un quadro completo e oggettivo, non l’«ecce homo», ma un insieme di ricordi della vita in comune, «ricordi di ricordi» che contengono segreti, particolari inediti, dettagli curiosi. È questo il caso di Se avessi una piccola casa mia (La nave di Teseo, pp. 158, euro 17,00), che Paola Bassani, la figlia di Giorgio, ha dedicato al più che amato padre. Preceduto da una prefazione di Massimo Raffaeli e corredato da un’ampia sezione fotografica nonché da una selezione di lettere inedite, il libro non è, per forza di cose, un resoconto distaccato, «oggettivo», né procede per via cronologica o tematica: è piuttosto un racconto di memorie, che scaturiscono per associazione, sul rapporto tra un padre e una figlia, la quale con «uno sguardo intimo, indulgente e al contempo affettuosamente sincero», come si dice nel risvolto, tenta di rappresentare la dimensione privata, domestica, dello scrittore.

I ricordi di Paola si snodano tra Ferrara, dove Bassani veniva considerato «un ebreo diverso dagli altri» ed era come emarginato, e Roma, dove la cerchia delle amicizie si allarga al mondo letterario (Attilio Bertolucci, Pasolini, Soldati, Garboli, Natalia Ginzburg, Carlo Levi) e a quello politico: Pietro Nenni, Ugo La Malfa. La vita dell’autore del Giardino dei Finzi-Contini è un susseguirsi di successi ed esitazioni, energiche iniziative culturali e dubbi. Paola non può tacere, ad esempio, del dolore paterno per l’attacco del Gruppo 63: «una Liala» disse Sanguineti di Bassani (e di Cassola), paragone ingiusto che ferì lo scrittore, il quale si difese così: «Quando scriveranno qualcosa di valido, di consistente, allora potrò discutere con loro». L’amico Pasolini (prima di una rottura di cui Paola non sa spiegare le ragioni) lo difese nella «querelle»: recensendo la ristampa delle Cinque storie ferraresi accenna alla «nefasta discesa dei barbari di pezza della neoavanguardia».

Ma è il Bassani privato e «pedagogo» che Paola descrive con più passione, raccontando ciò che egli amava maggiormente: il tennis, la boxe, le polpette, Manzoni, Verga, Flaubert, Thomas Mann, Luci d’inverno di Bergman, Au Hasard Balthazar di Bresson, e ciò che non amava: Rembrandt, il cinema dei fratelli Marx, Céline, Malaparte, l’esistenzialismo francese; o ricordando alcuni aneddoti, ad esempio quando durante la guerra il padre sotterrò nel cimitero di Ferrara il Tommaseo e l’enciclopedia Treccani per salvarli da un eventuale saccheggio. Tenero, ma anche inflessibile, lo descrive Paola. Prova ne siano le dimissioni da vicepresidente della Rai il giorno in cui seppe della censura sistematica dei programmi da parte del Vaticano per mano di un certo don Angelino. Quanto allo scrivere, Bassani teneva particolarmente al giudizio dei figli Paola ed Enrico: «Vi piace di più l’ultima versione o la precedente?» chiedeva. Si alzava ogni giorno alle quattro e mezza del mattino e scriveva a penna. Dopodiché batteva a macchina: «Dei Finzi-Contini rimangono più di duemila pagine, tutte dattiloscritte con interventi autografi» testimonia Paola, smentendo fra l’altro fermamente che i manoscritti dei libri siano finiti alle amanti.