Visioni

Tennis e cinema, i fantasmi della sfida sullo schermo

Tennis e cinema, i fantasmi della sfida sullo schermoUna scena da «John McEnroe – L'impero della perfezione» di J. Faraut

Percorsi Tra limiti tecnici e una visione metaforica della competizione, risaltano alcuni lavori pensati per il piccolo schermo

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 9 luglio 2022

Il tennis come il pugilato è uno sport di uno contro uno, di corpi che faticano e che cercano di superare il limite. Ne abbiamo un esempio più che recente con Rafa Nadal costretto al ritiro a Wimbledon dopo aver comunque vinto un quarto di finale con uno strappo addominale. Il tennis è anche un confronto di teste che producono pensieri, che elaborano strategie per individuare un punto debole e che, soprattutto, lottano contro le proprie ossessioni, contro le paure di vincere e di perdere, contro i fantasmi del passato e del presente che, ad esempio, hanno la forma di genitori ingombranti se non pericolosi. Per un Nadal che vince con uno strappo, c’è sempre dall’altra parte della rete un Taylor Fritz che perde.

CHE DUNQUE questo sia uno sport che può prestarsi a una narrazione cinematografica suona quasi come una cosa ovvia. Tuttavia, a differenza del pugilato e dei guantoni da calzare, mettere in scena un duello con delle racchette e una pallina che viaggia sopra i cento chilometri orari rimane un discreto ostacolo che neanche la digitalizzazione sembra poter risolvere. E infatti i film che hanno scelto questo sport come soggetto privilegiato non si possono definire memorabili. In questo gioco a perdere, perché per un titolo citato ve ne sono almeno dieci dimenticati, i vari Borg McEnroe di Janus Metz, La battaglia dei sessi di Jonathan Dayton e Valerie Faris, Wimbledon di Richard Loncraine, Una famiglia vincente – King Richard di Reinaldo Marcus Green, sono lavori che hanno il pregio di raccontare traiettorie umane significative e che destano qualche interesse per quello che mostrano sullo sfondo. Di ben altro spessore sono I Tenenbaum di Wes Anderson e, per tornare a un glorioso passato, ll giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica e Blow-Up di Michelangelo Antonioni, opere nelle quali, però, il tennis è più metafora che competizione con delle regole e dei movimenti precisi. È nel cinema documentario e nei prodotti per il piccolo schermo che troviamo le cose più intriganti. Forse perché con un uso sapiente del materiale d’archivio, si supera il problema del gesto atletico e si punta dritto alle questioni esistenziali, al tema della maniacale ricerca di un controllo degli eventi che, naturalmente, è impossibile come in ogni atto della nostra vita. Ed ecco quindi: Vilas: Tutto o niente e Untold: Fish vs Federer. Esempi di un cinema sullo sport che indaga sulle ossessioni di un campione che vuole dimostrare dati alla mano di essere stato numero uno del mondo (Guillermo Vilas), o di un giocatore che all’apice della carriera, poco prima di incontrare Roger Federer, scopre definitivamente di avere in se stesso, e non nello svizzero, il reale avversario (Mardy Fish).

E POI le due perle che riassumono tutte le complessità del tennis e, soprattutto, di chi lo pratica: Subject to Review di Theo Anthony, cortometraggio su «occhio di falco» (Hawkeye), cioè lo strumento che stabilisce se una palla è terminata fuori dal campo o se toccando una piccola porzione di linea ha regalato il punto a uno dei due giocatori. E John McEnroe – L’impero della perfezione di Julien Faraut, il capolavoro che per ogni tifoso del newyorkese e appassionato del bel gioco è una ripetuta coltellata allo stomaco: la progressiva disfatta di John McEnroe contro Ivan Lendl nella finale del 1984 al Roland Garros.

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