Una giovane ivoriana morta in bagno innesca la rivolta nel centro di accoglienza con 25 operatori della coop Edeco “sequestrati” nella notte. Così la frazione di Conetta, 190 anime nell’ultimo lembo della città metropolitana di Venezia, si risveglia in stato d’assedio e sotto i riflettori.

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SANDRINE BAKAYOKO, 25 anni, si era imbarcata con il compagno nelle coste della Libia: dal 30 agosto erano in Italia, da tre mesi nell’ex base missilistica in mezzo alla campagna, aspettando sempre il riconoscimento di rifugiati. Lunedì mattina la ragazza è entrata in uno dei bagni, nell’area riservata alle donne, che possono chiudersi a chiave. Non vedendola più, il compagno ha dato l’allarme alla coop che gestisce la struttura. Forzata la porta, Sandrine era a terra priva di sensi. Alle 12.48 è partita la telefonata al 118 che ha inviato un’ambulanza da Cavarzere e l’auto medica da Piove di Sacco. Poco dopo le 13 i soccorritori hanno tentato di rianimarla inutilmente: alle 13.46 la constatazione del decesso in ospedale. Secondo l’autopsia effettuata dal medico legale Silvano Zancaner, si è trattato di «tromboembolia polmonare bilaterale fulminante» come hanno confermato il procuratore capo ad interim Carlo Nordio e il pm Lucia D’Alessandro soprattutto per smentire ogni voce di «emergenza sanitaria» a Cona.

Ma la morte di Sandrine nella notte aveva riacceso la miccia della protesta fra i 1.400 migranti, per lo più africani: circondati i container e gli uffici amministrativi dove si era rifugiato il personale della Edeco, accesi falò all’interno, pronti a resistere anche alle forze dell’ordine. Solo in mattinata la trattativa e il “rilascio” delle persone, anche se alcune auto sono state bersagliate dai manifestanti che hanno poi tentato di bloccare l’ingresso dei furgoni con i pasti.

LENTAMENTE, LA RABBIA si è placata. Il cancello d’ingresso presidiato da celerini e carabinieri in assetto anti-sommossa. Il questore Angelo Sanna “sul campo” a garantire la situazione. E Simone Borile di nuovo alle prese con una “grana” per la coop che monopolizza l’accoglienza dei migranti.

Tuttavia, adesso Cona è davvero al centro dell’attenzione. Ai cronisti l’ingresso non viene permesso, nonostante i migranti vogliano documentare le loro condizioni di vita. Sono le stesse verificate dalla delegazione del Progetto Melting Pot che a giugno relazionava così: «Non è un Cas, non è un Cara, non è un hub. È un luogo “temporaneo emergenziale” che sopperisce alla mancata accoglienza dei comuni veneti. L’agibilità della tendopoli è stata regolarmente acquisita tramite parere dell’Asl che il 1 aprile 2016 ha inviato la sua relazione spiegando che la struttura può ospitare 540 persone, considerando che per ogni persona bastano 3,50 metri quadrati e occorre che vi sia un bagno e una doccia ogni 12 persone».

Oggi a Cona torna in “visita” Giovanni Paglia, che ha monitorato la struttura insieme al gruppo di avvocati, medici e volontari locali. «C’ero stato il 16 novembre e poi ho depositato una circostanziata interrogazione-denuncia al ministro dell’Interno senza ricevere risposta» spiega il deputato Sel, «Già allora l’impressione era di un luogo fuori controllo: la sanità scaricata sui medici di base, sovraffollamento e servizi igienici sotto pressione, pochi operatori, pasti consumati in piedi, tende senza nemmeno un armadietto. Insomma, si capiva che Cona poteva esplodere da un momento all’altro…».

E LA RIVOLTA DI LUNEDÌ notte per la morte di Sandrine era stata preceduta da altri episodi che segnalavano il disagio dei migranti. Il 30 agosto alcune decine avevano occupato la strada: un pacifico sit in sui tempi biblici delle pratiche sulla richiesta d’asilo. E già un anno fa un centinaio di ospiti della struttura (che allora ne conteneva la metà) lamentavano le carenze igienico-sanitarie.

Ieri mattina i profughi di Cona hanno invocato di nuovo l’intervento del prefetto Carlo Boffi, proprio perché nell’ex base missilistica fa freddo e manca l’illuminazione senza dimenticare i letti a castello ammassati per un numero di persone triplo rispetto all’originale agibilità.

INFINE, IL TAM TAM della protesta dei migranti in Veneto cresce. A Vicenza, circa 70 richiedenti asilo hanno incontrato il vice-prefetto davanti alla caserma Sasso: contestavano le strutture dell’associazione Mediterraneo per il freddo, gli abiti e l’affollamento. A Verona, invece, i residenti dell’ostello Santa Chiara nel quartiere Veronetta hanno protestato per la qualità del cibo paralizzando il traffico, rovesciando i cassonetti e sfogandosi con le auto in sosta.