«La danza di per sé non sopravvive al tempo», scriveva anni fa William Forsythe, uno dei maggiori coreografi esistenti. La danza ci affascina nella sua sfuggevolezza, nel manifestarsi per istanti straordinari quanto effimeri, nel non essere mai perfettamente identica a se stessa, instabile artefice di una presenza per costituzione non permanente, pronta a dileguarsi e riapparire. Mobilità di un atto che attraverso la tangibilità del corpo dà visibilità a un flusso di movimento che dal corpo stesso si proietta, dinamico, nello spazio. Fluire di istanti che arti come il cinema e la fotografia fin dai loro esordi provano a catturare o trasformare in altro. Una visione che si addice alla sfida del progetto di danza e fotografia per spazi urbani, naturali o storici messo a punto dalla Fondazione Nazionale della Danza Aterballetto nella direzione di Gigi Cristoforetti: In/finito.

Il titolo gioca tra finitezza e infinitezza temporale e visiva, aprendo interrogativi sulla natura del movimento di danza, sulla capacità dello scatto di fermare la forma senza tarparne la potenzialità dinamica, sullo scarto tra foto di documentazione e foto autoriale. Coinvolti nel progetto sei danzatori di Aterballetto e sei giovani coreografi che di tappa in tappa si confrontano con manifestazioni, luoghi e fotografi diversi.
Dopo la prima prova a Reggio Emilia lo scorso aprile, il progetto è approdato in giugno a Capri: si è partiti con In/finito – Le Ville di Tiberio, weekend di performance di danza a Villa Jovis, si riprende dal 23 giugno a fine luglio alla Certosa di San Giacomo con la mostra fotografica di Lorenzo Cicconi Massi Le Ville di Tiberio – la liquidità del movimento nell’ambito della X edizione del Festival di Fotografia a Capri a cura di Denis Curti per la Fondazione Capri. Venticinque scatti in bianco e nero che hanno come soggetto figurativo i danzatori di Aterballetto nei siti delle ville capresi dell’imperatore Tiberio, Damecuta, Villa Jovis e i Bagni di Tiberio.

«Ho collaborato a lungo con Lorenzo Cicconi Massi nei dodici anni di direzione di Contrasto», commenta Denis Curti, che oggi oltre a curare il festival caprese, dirige il mensile Il Fotografo, La Casa dei Tre Oci a Venezia, la galleria Still a Milano. «È un fotografo che sa risolvere le situazioni più difficili con creatività, ideale per una scommessa su Capri e la danza. Questa mostra risponde a una scelta stilistica precisa che si fa linguaggio e che ci consente di leggere il progetto di Cicconi Massi, mai documentario e dichiaratamente visionario, come un percorso autoriale capace di contenere il fascino della storia e la presenza armonica degli artisti. Attraverso la danza e senza mai essere ingombranti, sono riusciti ad abbracciare un tempo immenso».

La danza impermanente, contemporanea entra in relazione con il correre della storia tra passato e presente attraverso lo scatto. Ed è un incontro, quello con la fotografia, in cui l’immaterialità è un concetto condiviso. «Ci è sembrato interessante», prosegue Curti, «tentare un ragionamento sulle differenti modalità narrative che hanno a che fare con il sentimento della liquidità e del movimento. E la fotografia, nei fatti, nella sua prima dimensione, è latente, impalpabile, addirittura immateriale, liquida e in perenne movimento. Il suo vecchio ’prodigio analogico’ risiede nel lasciare una traccia del visibile sulla pellicola, senza tuttavia mostrarne l’aspetto che viene accuratamente custodito fino allo sviluppo, nel moto ondulante di una miscela liquida e rivelatrice».

I venticinque scatti derivano dalle performance a Villa Jovis e da vari shooting in cui i danzatori hanno trovato insieme a Cicconi Massi un dialogo tra il segno delle loro interpretazioni e l’isola di Capri. «Amo fotografare in spazi aperti, al sole», spiega Cicconi Massi, «perché mi piace giocare con le ombre e con le luci: il bianco e nero è per definizione una fotografia di bianchi e di neri, di vuoti e di pieni che io lavoro in modo molto contrastato cercando di equilibrare l’immagine nel modo più sapiente possibile, che per me significa suscitare un’emozione, far vibrare lo scatto. Amo combattere con gli imprevisti che la natura mi dà, una nuvola che passa, il vento che muove le cose, situazioni che tento di controllare anche se sono loro in effetti a dominarmi, stimolando la mia creatività. Gli scatti che ho fatto durante le performance seguendo il flusso della musica – la musica scatena in me endorfine fotografiche – , danno più valore all’aspetto coreografico; per quelle realizzate ai Bagni di Tiberio e a Villa Damacuta ho immaginato le figure dei danzatori dentro il contesto antico dell’isola quasi come fossero statue, ma il loro immobilismo è vitale e grazie alla bellezza dei corpi compone una visione ideale. Li ho guardati con gli occhi dello stupore: i corpi torniti di un danzatore, anche in una posizione di staticità, i loro muscoli che si intersecano all’interno della struttura corporea, fanno immaginare anche nello scatto un’esplosione di movimento, sprigionano l’armonia costruita in anni di lavoro. Vedo il loro corpo come l’involucro dell’anima danzante del ballerino, espressione di una bellezza intima».

Ed ecco le performance, assolate nella luce mattutina di Capri, con il mare a strapiombo alle spalle. Tre gli spazi usati a Villa Jovis, la più grandiosa dell’isola, posta sulla cima del promontorio orientale e ultima residenza dell’imperatore Tiberio. Nella prima stanza a cielo aperto Ina Lesnakowski Bonetta danza i Notturni di Chopin su coreografia di Saul Daniele Ardillo, un corpo battagliero che cerca la fuga tra le pareti e il suolo, come se il blu e il verde della natura non potesse portare luce al travaglio interiore; sensazione spinta fino alla follia in L 180 di Hektor Budlla per Giulio Pighini in bianca camicia di forza e casco da elettroshock, danza con il volto attonito, il corpo perennemente sbilanciato: rapporto con sé che diventa surreale visione in Maudit di Diego Tortelli per Grace Lyell, pantaloni gialli e maglia a righe bianche e nere, dita che accarezzano lo spazio mentre il il corpo si torce in pose a spirale, istanti arditi su Claire de lune di Debussy.

La seconda stanza al femminile è una terrazza sul mare. Apre Arianna Kob, in costume aderente nero per Purple Usurper di Philippe Kratz, movimenti plastici in lotta intorno a una argentea sedia mignon. Segue Serena Vinzio in Cemento di Roberto Tedesco, questa volta la musica è Mozart ma la battaglia non cede e il corpo duella con un secchio di latta. Chiude Ivana Mastroviti in Survivante di Damiano Artale su una canzone di Etta Jones: sul volto una maschera nera per una danza in acceso bilico tra accenti inquieti e sornioni ammiccamenti. Rovine imponenti viste dall’alto per l’ultima stanza: questa volta a danzare sono i sei coreografi: finale collettivo a sorpresa ideato appositamente per Capri nel quale il movimento di danza si distende gioiosamente nella natura e nella Villa con una nuova, solare leggerezza.