Una stanza piena zeppa di libri si presenta ad apertura di sipario. È il regno di Giuseppe, uno storico alle prese con il suo lap top, dal quale è scomparso il testo su cui sta lavorando da mesi. Lo toglie dal panico la moglie Sabina, giornalista avvezza ai «nuovi media», guidata però al telefono dal figlio, importunato addirittura a scuola per risolvere il problema. Bastano poche battute per connotare il paesaggio di Tempi nuovi (all’Ambra Jovinelli fino al 10 marzo) pièce brillante e leggera quanto basta, scritta e diretta da Cristina Comencini, che si avvale di una coppia inusuale, Maurizio Micheli e Iaia Forte. Padre e madre, creature inquiete e in ansia da prestazione, lui un po’ d’antan, mentre lei si agita convinta della sua modernità, perché con un corso serale ha imparato a scrivere articoli in 5 righe. Salvo poi ritrovarsi totalmente inadeguata di fronte alla figlia lesbica, Clementina, la cui compagna sta per partorire un bel maschietto da uno spermatozoo proveniente dalla banca del seme. Insomma, un quadretto di famiglia che Comencini dipinge a pennellate larghe con la volontà di provocare il riso intorno ad argomenti ancora indigeribili anche per le famiglie illuminate e di sinistra. Non è casuale che la ricerca del figliolo Antonio sia sulla Resistenza, fornendo così a Giuseppe (del quale non sveleremo l’exploit) più di un’occasione per ribadire concetti basilari, oggi traballanti: la nostra Repubblica si fonda sulla Resistenza e sull’antifascismo. Le frasi di Comencini sono chiare sul punto. Meno precisa l’autrice appare invece nel linguaggio informatico e digitale, che necessiterebbe forse di una revisione, considerate le ampie parti dedicate all’argomento.