«Lost in recession», perduti nella recessione. Sono i precari, gli inoccupati, scoraggiati e lavoratori poveri: 3,3 milioni nel 2013. In Italia, vivono in una zona grigia e non vengono calcolati nel tasso di disoccupazione ufficiale al 12,3% a giugno 2014 (3 milioni 153 mila). Per loro le possibilità di trovare un altro lavoro sono tra il 14% e il 15%, la quota più bassa di tutti i 28 Stati membri dell’Ue. Risollevare le sorti del quinto stato ai margini della cittadinanza, disoccupato o bloccato in lavori precari part-time, rappresenta uno degli obiettivi di una politica economica che per il governatore della Bce Mario Draghi dovrebbe iniziare a investire sulla domanda dopo sei anni di crisi, e non solo sul lato dell’offerta con le «riforme strutturali».

Sembra proprio che il nuovo «vangelo» dei banchieri centrali siano diventati l’occupazione, i salari e l’inflazione. Ma la realtà non è così limpida come quella descritta ieri dal Wall Street Journal, E’ vero, il combinato disposto occupazione.deflazione preoccupa tutti. La banca d’Inghilterra che ha legato l’aumento dei tassi a quello dell’occupazione. La Fed di Janet Yellen spiega che il tasso di disoccupazione è più alto e non viene registrato dagli indicatori ufficiali. Per affrontare l’emergenza, in gran parte causata dalle stesse politiche dell’austerità a cui oggi si cerca un rimedio, dal simposio dei banchieri centrali a Jackson Hole della settimana scorsa Draghi ha esortato l’Italia e i paesi dell’Europa meridionale a seguire l’esempio della Germania.

La sua ricetta è stata riassunta così dal New York Times: taglio della spesa pubblica, eliminazione di programmi di sicurezza sociale e di misure protezionistiche sul mercato del lavoro. A questo dovrebbe tendere per il governatore l’eliminazione del dualismo tra «garantiti» e «non garantiti», non in direzione dell’universalizzazione del welfare per entrambi («Il modello sociale europeo è morto» affermò nel 2012), bensì alla diversificazione dei salari e al loro legame con la produttività.

Se il modello sono i mini-job in Germania, allora la ricetta non lascia sperare in un cambiamento di rotta. Il paese della Merkel è riuscito a truccare le statistiche sulla disoccupazione (al 5% contro l’11,5% in Europa) creando una popolazione di lavoratori servili: 7,5 milioni di precari (un posto di lavoro su cinque) a 400 euro o poco più al mese, per 5 milioni questa è l’unica entrata. Sono assicurati solo contro gli infortuni sul lavoro, mentre i datori di lavoro non versano i contributi. Stessa storia in Inghilterra, dove c’è un milione di contratti a zero ore, in maggioranza donne, lavorano senza orari specifici, su richiesta dei datori di lavoro (anche a Buckingham Palace). Dati che mostrano un «mercato del lavoro» dove la precarietà è ovunque, altro che «dualismo».

Le parole di Draghi hanno dato uno scossone anche al governo Renzi, congelato dalla crescita negativa (-0,2% a giugno) e immobile sul lavoro dopo la conversione in legge del decreto Poletti che ha precarizzato i contratti a termine eliminando la «causalità» dei contratti per 36 mesi. Una misurache contrasta con la direttiva europea 70 del 1999. Per Draghi questo non conta, la direzione è un altra.

Dopo un ferragosto passato a discutere di prelievi sulle pensioni e abolizione dell’articolo 18, Renzi ha deciso di accelerare i tempi della seconda parte del « jobs act»: la legge delega che riformerà l’intero mercato del lavoro. Considerata la fretta di Draghi, e le sue eleganti allusioni ad un commissariamento europeo delle politiche sociali o sulla giustizia, la decisione di Renzi-Poletti di smembrare in due tronconi il dl sui contratti dalla delega sul mercato del lavoro si è rivelata un pasticcio.

Il Jobs Act, infatti, contiene 5 deleghe, dalla revisione degli ammortizzatori sociali, alle politiche attive, semplificazione e riordino dei contratti, tutele per la maternità. Prevede inoltre un contratto a tutele crescenti che sembra andare ad aggiungersi ai 46 contratti atipici esistenti. Alla commissione lavoro del Senato la discussione si è bloccata sull’articolo 4, quello del riordino delle forme contrattuali e sui licenziamenti. Il relatore Maurizio Sacconi (Nuovo Centro Destra) vuole sostituire l’obbligo di reintegro in caso di licenziamento illegittimo con un’indennità (la proposta è di Ichino, Scelta Civica), mentre il Pd vuole congelare questa tutela elementare per tre anni, sul modello dell’«acausalità» nei contratti a termine. Flessibili si, ma a tempo determinato. In tempo per farsi licenziare.

A settembre, la maggioranza troverà una sintesi, ma dovrà affrontare i tempi biblici dell’entrata in vigore delle deleghe. Il ministro del lavoro Poletti si è impegnato a incassare l’approvazione del provvedimento entro la fine dell’anno. Dovrà però aspettare almeno giugno 2015 per i decreti attuativi. Se andrà bene, il governo italiano applicherà la ricetta Draghi, adotterà un sussidio di disoccupazione più largo dell’attuale «Aspi», provvederà alla costituzione di un’agenzia nazionale per l’occupazione (fusione tra Italia lavoro e Isfol) tra un anno e forse più. In tempo per registrare un aumento della disoccupazione e del precariato sul modello tedesco.