I guai peggiori e più insidiosi sono quelli imprevisti che ti colgono con la guardia bassa. Come è successo a Matteo Renzi e a Maria Elena Boschi in questi giorni. Il decreto salva-banche doveva essere un fiore all’occhiello, presentato come il primo salvataggio che non sarebbe costato un soldo ai contribuenti. Si è rivelato una trappola micidiale, funestata dal suicidio del pensionato rovinato. Il danno politico c’è già tutto ed è cospicuo: evitare che peggiori ulteriormente nei prossimi giorni sarebbe già un buon risultato, ma non è facile.
Il diluvio, inevitabilmente, si abbatte sulla Boschi. A torto o a ragione, in questo Paese Roberto Saviano è diventato il santone e gran profeta della legalità. Se digita un post al vetriolo in cui accusa la ministra di «dissimulare il conflitto di interessi», denuncia l’esistenza di un «problema enorme» e mette all’indice (del tutto a ragion veduta) il coro mediatico che chiude quegli stessi occhi che erano invece spalancatissimi ai tempi di Berlusconi, il problema è serio.
E’ in effetti un segnale di un allarme rosso fiamma se la stessa Boschi, dopo aver disertato domenica scorsa i banchetti del Pd nella sua Arezzo per paura di essere subissata di fischi invece che di applausi, ha passato ieri la giornata a chiedersi se presenziare o meno all’inaugurazione di quella Leopolda di cui è il nume tutelare. Alla fine ha trovato una rocambolesca via d’uscita accampando a scusa, pardon a giustificazione, una riunione sulla legge di stabilità, comunicata via tweet: «Finita la stabilità vi raggiungo». Potrebbe arrivare in nottata, ma probabilmente non sarà a Firenze prima di oggi pomeriggio. Sarebbe stato lo stesso Renzi a consigliarle di rinviare l’arrivo in una Leopolda mesta, dove alla vigilia si parlava solo di banche. A palazzo Chigi l’irritazione ha raggiunto ieri il livello massimo, proprio in seguito agli attacchi rivolti alla ministra. Ma non è un caso se Renzi ha evitato di citare il caso Boschi, lasciando a Emanule Fiano il compito di difenderla: «Sciacallaggio di gente inqualificabile».
Se, infine, un presidente del consiglio che sulla popolarità e sul rapporto diretto con l’elettorato ha scommesso tutto si ritrova a dover schierare le forze dell’ordine per impedire agli obligazionisti salassati di manifestare, domenica prossima, vuol dire che le cose sono messe persino peggio di quanto non appaia. La manifestazione, comunque ci sarà, e i tentativi del governo di stemperare la tensione promettendo un parziale risarcimento sono destinati a cadere nel vuoto. I rappresentanti dei truffati (non 130mila ma “solo” 10.500 secondo il ministero del Tesoro, in possesso di circa la metà delle obbligazioni azzerate: 340 milioni) chiedono un incontro col Renzi. Considerano il fondo di solidarietà che verrà istituito dal governo «solo una mancia», e l’esiguità del rimborso, che non dovrebbe andare oltre il 30% delle perdite, rischia di incrementare l’incendio più che di sedarlo. La formula imposta dall’Europa, un arbitraggio caso per caso, dunque destinato a risolversi in tempi incerti e oltretutto affidato a una Consob considerata tutt’altro che affidabile, essendo quella che avrebbe dovuto vigilare sull’operato disinvolto delle banche, minaccia di sommare la beffa al danno.
In una situazione così tesa, è ovvio che diventi un nodo scorsoio quel conflitto di interessi che era già emerso al momento del voto sul decreto salva-banche, con da una parte la numero due dello stato maggiore renziano nonché ministra, e dall’altra il padre della stessa, vicepresidente di una delle banche da salvare. Il sospetto è infondato: il governo avrebbe ripescato Banca Etruria comunque. Se ombre ci sono state riguardano casomai un’operazione di insider trading quando fu varata la riforma della banche popolari, che a sua volta coinvolgeva la banca di cui il padre della Boschi era all’epoca numero due. Però è fisiologico che per chi ha perso tutto la parentela di una delle principali esponenti del governo con l’ex vicepresidente della banca salvata, nella quale lavorava anche il fratello suoni opaco.
E’ altrettanto fisiologico che le opposizioni non lascino cadere l’occasione e si scaglino contro un governo del quale in effetti il meno che si possa dire è che si è comportato prima con colpevole leggerezza, poi con imperdonabile goffaggine. Per la destra scende in campo Berlusconi in persona: «Io il provvedimento lo avrei fatto, ma senza lasciare fuori i 30mila obbligazionisti che hanno investito i risparmi di una vita». Fi, come l’M5S, Sel e la Lega, chiede di trovare una via per rimborsare agli obbligazionisti tutto quello che hanno perso. Non succederà. Ma neppure Renzi verrà mai politicamente rimborsato per quel che ha perso in questi giorni.