Non è a rischio solo il ghiacciaio Planpincieux sulle Grandes Jorasses, lungo il versante italiano del Monte Bianco. La fusione in corso non è un caso isolato: «Si prevede che tutti i ghiacciai più piccoli situati in Europa, in Africa orientale, nelle regioni tropicali delle Ande e in Indonesia perderanno oltre l’80 per cento della loro massa entro il 2100» spiega l’ultimo rapporto dell’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, Oceano e criosfera in un clima che cambia, diffuso ieri.

LA RIDUZIONE delle superfici ricoperte dal ghiaccio in alta montagna inciderà negativamente sulla disponibilità d’acqua, un tema che modificherà radicalmente la vita di coloro che abitano «queste regioni, ma anche le comunità a valle» ha specificato, presentando il report Panmao Zhai, copresidente del primo gruppo di lavoro dell’Ipcc, quello che si occupa delle scienze fisiche. I principali effetti negativi riguarderanno l’agricoltura e la produzione di energia idroelettrica, evidenziando una situazione complessa fatta di variabili interconnesse.

Il rapporto diffuso dal Principato di Monaco (dove sono riuniti da giorni i ricercatori per la stesura finale) va ad integrare quello uscito a maggio (Cambiamento climatico e territorio), e quello su Riscaldamento globale a 1,5 gradi, uscito nell’ottobre del 2018.

SECONDO L’IPCC, «la perdita globale dei ghiacciai, la fusione del permafrost e il declino nella copertura della neve e nella estensione dei ghiacci artici sono destinati a continuare, a causa dell’aumento della temperatura dell’aria in superficie, con inevitabili conseguenze legate allo straripamento dei fiumi. La grandezza di questi cambiamenti della criosfera è destinata a aumentare ulteriormente nella seconda metà del ventunesimo secolo».

In contemporanea, gli oceani vedranno un aumento senza precedenti della temperature e della acidificazione, un calo dell’ossigeno, ondate di calore, piogge e cicloni più frequenti e devastanti, aumento del livello delle acque, diminuzione degli animali marini. La fusione in corso è destinata a continuare nel periodo 2031-2050, andando a incidere negativamente su aree che ospitano attualmente 1,4 miliardi di persone, la maggior parte delle quali vivono o in alta montagna o nelle aree costiere e nei piccoli Stati insulari, quindi in regioni il cui futuro è messo direttamente a rischio dall’innalzamento del livello degli oceani.

IN PARTICOLARE gli oceani – spiega l’Ipcc – sono destinati a «condizioni senza precedenti di aumento di temperature, maggiore stratificazione dei livelli superficiali, ulteriore acidificazione, declino dell’ossigeno e alterata produzione primaria netta (la produzione di pesci e alghe)». E se nel corso del Ventesimo secolo l’innalzamento del livello del mare su scala globale ha registrato una media di 15 centimetri, nel periodo successivo il ritmo è più che duplicato, arrivando a 3,6 millimetri all’anno, e il tasso di crescita non accenna a fermarsi. In questo contesto, le ondate di calore marine ed eventi estremi come El Niño e La Niña sono destinati a diventare più frequenti. In molte zone, in particolare nelle Regioni tropicali, eventi legati al livello del mare che erano storicamente rari (se ne misuravano uno al secolo nel passato) sono destinati ad avvenire più di frequente (almeno una volta all’anno) entro il 2050.

Questo comporterà, secondo l’Ipcc, anche «una diminuzione nella biomassa globale degli animali marini, nella loro produzione e nel potenziale di pesca, e un cambiamento nella composizione delle specie».

«Tante persone possono considerare molto distante dal proprio quotidiano il mare aperto, l’Artico, l’Antartide e le zone di alta montagna, ma non considerano che ognuno di noi dipende da queste regioni, che incidono direttamente o indirettamente sulle nostre vite in forma molto diverse, ad esempio in tutto ciò che riguarda la metereologia e il clima, l’alimentazione e l’acqua, il commercio, i trasporti, le attività turistiche, la salute e il benessere, la cultura e l’identità» ha commentato Hoesung Lee, presidente dell’Ipcc. L’unica risposta plausibile è una riduzione delle emissioni di gas climalteranti. A partire da oggi.