Non sono bastate 17 ore di trattativa, con la costante mediazione del ministero del Lavoro, per giungere ad un accordo che ponesse fine alla vertenza del call center di Taranto e Roma del colosso francese Teleperformance. Ora le parti si ritroveranno la prossima settimana per provare a trovare un’intesa che al momento appare ancora molto lontana.

Da una parte c’è il colosso francese che ha deciso di traghettare il call center di Parco Leonardo di Fiumicino (l’unica sede in attivo) in una new.co, lasciando nell’attuale società ’In & Out’ le sedi di Taranto e Roma che riportano perdite per svariati milioni di euro e che dovrà essere trasformata in una Spa dal futuro tutt’altro che certo. Inoltre, l’azienda propone per le due sedi in rosso il rinnovo dell’accordo siglato nel 2013, che evitò centinaia di licenziamenti grazie ad una riduzione del costo del lavoro del 12%, aggiungendo ad esso maggiore flessibilità partendo dalla riduzione delle ore di lavoro settimanali (da 30/33 a 20/24).

Con la riduzione settimanale delle ore di lavoro, l’azienda ha calcolato che otterrebbe un risparmio del 20%, mentre sui lavoratori questa soluzione peserebbe come un macigno, visto che porterebbe alla rinuncia del 25% del salario attuale. Un sacrifico enorme visto che parliamo di famiglie spesso monoreddito, con figli a carico: dove la maggioranza degli addetti sono donne (ben il 75%). Soltanto nel call center di Taranto sono in ballo quasi 3mila posti di lavoro (1600 a tempo indeterminato e 800 a progetto). Attraverso l’applicazione di questo nuovo contratto iper flessibile, l’azienda prevede di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2017.

I sindacati non hanno alcuna intenzione di cedere alle richieste dell’azienda e spalleggiati dal governo chiedono l’applicazione di contratti di solidarietà in attesa che l’esecutivo nel giro di 6-12 mesi al massimo, approvi una legge (presentata proprio nei giorni scorsi a Catania dalla a deputata Luisa Albanella, e da Cesare Damiano, presidente commissione Lavoro della Camera dei deputati) che regoli una volta e per tutte il mercato dei call center (che in Italia occupa oltre 80.000 lavoratori), iniziando dall’impedire le gare al massimo ribasso che hanno letteralmente distrutto il mercato. Un intervento, quello del governo, ancor più necessario se si pensa che in Italia i committenti sono colossi come Telecom, Poste, Enel, Eni, Vodafone, Wind, Sorgenia, Tre, Tiscali, Fastweb, Edison, British Telecom, Sky (alcuni dei quali a partecipazione statale).