Telefonica si compra tutta Telco, ora parte il risiko su Telecom
Tlc I debiti miliardari delle due società non convincono Piazza Affari. La partita si gioherà sullo scorporo della rete e di Tim
Tlc I debiti miliardari delle due società non convincono Piazza Affari. La partita si gioherà sullo scorporo della rete e di Tim
Annunciato da giorni, l’accordo raggiunto la notte scorsa tra gli spagnoli di Telefonica e i soci italiani di Telco (Generali, Intesa-San Paolo, Mediobanca), per una graduale crescita della quota della compagnia iberica nella finanziaria che è azionista di riferimento di Telecom Italia con il 22,4%, ha fatto rumore ovunque tranne che a Piazza Affari. Il titolo è salito a 60 centesimi, un apprezzabile ma non esaltante 1,69%. Segnale che può essere interpretato con la grande debolezza sia di Telefonica che di Telecom, visti i 53 miliardi di debiti della prima e i 28 della seconda. O forse con la consapevolezza degli operatori che la partita vera, quella dello scorporo da parte di Telecom della sua rete infrastrutturale delle telecomunicazioni, è ancora da giocare.
Più in dettaglio, l’accordo permetterà a Telefonica, che attualmente controlla il 46,2% di Telco, di salire al 66% e poi al 70% (corrispondente al 15,7% circa di Telecom), grazie a due aumenti di capitale, dopo l’ok dell’Antitrust in Brasile e Argentina, che però fino al 31 dicembre le daranno solo azioni senza diritto di voto. Solo nel 2014 il gruppo spagnolo potrà convertirle, fino a un massimo del 64,9% di Telco. Gli aumenti di capitale saranno di 324 e poi di 117 milioni di euro, oltre a circa 410 milioni per accrescere la propria quota in un prestito convertibile da 1,7 miliardi di euro. A questi complessivi 850 milioni di investimento dovrà essere aggiunto un altro miliardo se nel 2014 Telefonica eserciterà l’opzione di acquistare le restanti azioni di Telco, salendo al 100% della finanziaria e quindi al 22,4 di Telecom. Con gran gaudio degli azionisti Telco – appunto Intesa San Paolo, Generali e Mediobanca – perché nell’accordo è sancito che l’offerta valorizza le azioni Telecom a 1,09 euro ciascuna, contro gli 0,60 della quotazione odierna.
Ancorché annunciata, la notizia è diventata la copertina di tutti i media televisivi. Tutti i gruppi parlamentari hanno chiesto al governo di spiegare i dettagli dell’operazione. E diventa molto interessante la già prevista audizione di oggi, alla commissione industria del Senato, del presidente di Telecom, Franco Bernabé. Che ieri ha puntualizzato: «L’accordo cambia l’assetto azionario di Telco e non di Telecom. Telecom non diventa spagnola, è solo Telco che ha avuto un riassetto azionario». Chiave di lettura simile dal ministro delle attività produttive Zanonato: «La Telco era già a maggioranza Telefonica, che ora passerà dal 46 al 61%. Mi pare che sia dura sostenere che Telecom diventa spagnola».
L’amministratore delegato di Telecom, Marco Patuano, ha rassicurato che non ci saranno licenziamenti, ma i sindacati parlano di 16mila posti di lavoro a rischio.
Alla fine è intervenuto anche Enrico Letta da New York che ha annunciato che riferirà in aula martedì prossimo. Intanto la polemica montava. La popolarità del marchio della telefonia ha subito convinto Beppe Grillo a intervenire. Al suo silenzio sulla vendita dei non certo indebitati asset civili di Finmeccanica, fra cui la genovese Ansaldo Energia che Grillo ben conosce, si è contrapposta l’abituale loquacità su Telecom: «L’Italia perde un altro pezzo. Il governo deve intervenire, è sufficiente dirottare parte dei miliardi di euro destinati alla Tav in Val di Susa che neppure il governo francese vuole più». A seguire le accuse a Massimo D’Alema per quanto accadde alla fine degli anni ’90 (i «capitani coraggiosi» Colaninno e Gnutti), e via dicendo. Anche da destra copione analogo. Mentre nel Pd è stato Pierluigi Bersani a osservare: «Il caso Telecom rappresenta un passaggio serio e preoccupante, in particolare su un punto: la rete. L’Italia ha bisogno, assolutamente, di investimenti sul questo versante. Già c’era poca chiarezza fino all’altro ieri, adesso siamo nella nebbia».
Infatti proprio sulla rete infrastrutturale delle telecomunicazioni e sul suo eventuale scorporo c’è stato un fuoco di fila di dichiarazioni. Ad incitare allo scorporo la destra con Maurizio Gasparri, i montiani con Bruno Tabacci e Linda Lanzillotta, il renziano Paolo Gentiloni e lo stesso viceministro alle telecomunicazioni Antonio Catricalà. Contrari invece i piccoli azionisti Telecom riuniti nell’Asati, che insieme alla Cgil e alla sua Slc hanno lanciato l’allarme, chiamando l’esecutivo a convocare le parti «per verificare quale sia il progetto industriale su Telecom, e come si pensi di affrontare il tema della sottocapitalizzazione e degli investimenti necessari a rinnovare la rete, elemento strategico per l’ammodernamento dell’intero paese».
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