Tra poco meno di una settimana Marco Pannella compie 84 anni. Tra qualche mese Giorgio Napolitano ne compie 89. Sono quasi coetanei. Tra poco più di quattro settimane l’Italia dovrà rendere conto delle proprie politiche carcerarie davanti al Consiglio d’Europa e alla Corte Europea dei Diritti Umani. Corte che pochi giorni fa, a seguito del ricorso presentato dal difensore civico di Antigone, ha nuovamente condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani del 1950, quello che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. Questa volta il trattamento disumano è l’esito della mancata tutela del diritto alla salute di un detenuto. È indubbio che da un anno a questa parte qualcosa si è mosso nel melmoso panorama della giustizia penale italiana. Ma è ancora troppo poco perché si possa dire di essere tornati nella legalità interna e internazionale. È ancora troppo poco per evitare l’ignominia di giudizi europei durissimi nei nostri confronti.

Il presidente della Commissione Libertà Civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo pochi giorni fa definiva l’ispezione a Poggioreale un ritorno al Medioevo, e non perché avesse visitato un borgo antico, ma perché il carcere napoletano ricordava le punizioni corporali premoderne. I prossimi giorni saranno quindi decisivi. Dovrà essere nominato il nuovo garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà che speriamo sia figura autorevole, esperta, riconosciuta anche sul piano internazionale. Il ministro di Giustizia Andrea Orlando, al quale va riconosciuto che sinora ha messo al centro della sua agenda la questione carceraria, dovrà decidere se confermare o meno il capo dell’amministrazione penitenziaria. A chiunque sarà al vertice del Dap chiediamo di ritirare la circolare che vieta ai direttori di dare informazioni ad Antigone. Non è così che si prendono i voti alti a Strasburgo.

Ma non è su questa nomina che intendo soffermarmi. L’articolo 59 della Costituzione affida al presidente della Repubblica la designazione di cinque senatori a vita «che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario». Al momento, morto il grande Claudio Abbado, i senatori a vita di nomina presidenziale sono invece quattro: Elena Cattaneo, Mario Monti, Renzo Piano, Carlo Rubbia. Il capo dello Stato potrebbe dunque nominarne un quinto. Per chi come noi da tantissimo tempo si occupa di giustizia e di carceri Marco Pannella è sempre stato un compagno di strada. La telefonata di Papa Francesco al leader radicale è un riconoscimento alla sua lotta nonviolenta. Se fosse nominato senatore a vita si darebbe a Pannella la possibilità di continuare la sua battaglia in Parlamento, dove è giusto che lui sieda in conclusione di una lunghissima carriera politica.

Infine ieri è stata resa pubblica un’altra telefonata, tra il vicesindaco di Roma Luigi Nieri e un’occupante indagata per i fatti dell’Angelo Mai. A insorgere sono stati i falsi garantisti di Forza Italia, quelli che un tempo volevano vietare le intercettazioni (perché riguardavano Berlusconi) e ora dopo averne letta una che riguarda Nieri sui giornali non si indignano nei confronti di chi l’ha pubblicata ma chiedono le dimissioni del vicesindaco, che non si capisce di quale colpa si sia macchiato. La giustizia per cui si batte Pannella è una giustizia non inquisitoria, non vendicativa, che non ama l’uso mediatico delle inchieste, che ritiene che le intercettazioni vadano usate solo quando necessarie e comunque non vadano mai pubblicate sui quotidiani. Chiediamo a Giorgio Napolitano che consenta a Marco Pannella di continuare le sue lotte per l’amnistia e la giustizia in Senato, almeno finché questo non sarà abrogato.

*presidente Antigone