L’atteso «incontro» tra il presidente dell’Iran, il mullah Hassan Rohani, e Barack Obama c’è stato. È bastata una telefonata del presidente degli Stati Uniti per cancellare 34 anni di silenzi ufficiali tra i due paesi, che nascondevano però continui contatti diplomatici attraverso le ambasciate europee a Tehran per discutere delle principali crisi regionali. Rohani ha forse evitato un incontro diretto a New York con Obama per schivare le polemiche con conservatori e ultra-conservatori all’interno del suo paese. Contestazioni che non sono mancate perché alcuni sostenitori dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad hanno lanciato in segno di protesta scarpe contro la vettura di Rohani, festeggiato dai suoi sostenitori, mentre rientrava dall’aeroporto a Teheran.

La stampa locale rappresenta un Rohani sorpreso dalla telefonata di Obama. In realtà, la distensione tra Stati Uniti e Iran è stata preceduta dalla possibile riapertura della sede diplomatica inglese a Tehran, chiusa dopo l’assalto del 2011 in seguito all’inasprimento delle sanzioni sul programma nucleare. In aggiunta, a facilitare un nuovo corso tra i due paesi c’è stato un riferimento importante, per molti passato inosservato, nel discorso all’Assemblea generale dello scorso martedì da parte di Obama che ha riconosciuto la responsabilità dei Servizi segreti degli Stati Uniti nel colpo di stato che ha rovesciato l’ex premier iraniano Mohammed Mossadeq nel 1953.

Le cronache parlano di una conversazione cordiale tra i due leader, avvenuta con traduttori, ma con saluti nelle reciproche lingue. Nel corso della telefonata si è parlato di «cooperazione». Nel colloquio si è fatto riferimento alla crisi siriana, al nucleare e a tre cittadini americani, detenuti in Iran, di cui non si hanno più notizie. Obama avrebbe anche promesso un alleggerimento delle sanzioni internazionali che affamano la popolazione iraniana in caso di «azioni significative, verificabili e trasparenti» in merito al programma nucleare.

Anche la stampa iraniana ha salutato con favore il discorso di Obama all’Assemblea generale dopo il riconoscimento degli «errori passati». Il quotidiano moderato Donya-e Eqtesad ha sottolineato i toni conciliatori di Obama, mentre il riformista Sharq ha parlato di fine di un «tabù» in riferimento al colloquio tra Obama e Rohani. Il quotidiano ultraconservatore Kayhan ha invece espresso preoccupazione per le affermazioni di Rohani sul programma nucleare a scopo pacifico, come un segno di debolezza dell’Iran. Ma anche da alcuni esponenti dell’élite militare e giudiziaria sono venute aperture alla posizione di Rohani per costruire un nuovo contesto di fiducia verso Teheran. Forse però il sostegno più incoraggiante è arrivato dall’ex presidente riformista Mohammad Khatami, che aveva salutato la rielezione di Rohani attendendo i suoi primi atti. «Per la prima volta esiste la possibilità di includere l’Iran come un partner regionale per mettere all’angolo gli estremisti», ha scritto Khatami in un articolo pubblicato dal quotidiano inglese Guardian. Khatami, eletto la prima volta nel 1997, seppe rompere l’isolamento forzato di Tehran promuovendo quello che lui stesso chiamava «dialogo tra le civiltà».

La reazione del governo israeliano ai contatti tra Washington e Tehran non sono stati altrettanto positivi. Da una parte, il premier Benjamin Netanyahu, in un’intervista alla Cnn, ha giudicato «insufficiente» la condanna dell’Olocausto lo scorso martedì da parte di Rohani, avvertendo di diffidare delle aperture iraniane.
Gli effetti immediati della distensione tra Stati Uniti e Iran potranno avere conseguenze positive sul negoziato per il programma nucleare e nella crisi siriana. Ma il filo diretto tra Washington e Tehran potrebbe nascondere anche un nuovo corso nella politica estera della Repubblica islamica, in continuità con la presidenza riformista. Se le divisioni con gli Stati Uniti non vanno esagerate, e neppure i recenti colloqui tra Obama e Rohani, di sicuro questa svolta segna una rottura del gelo che si era instaurato tra Obama e l’ex pasdaran Ahmadinejad, aprendo la strada alla revisione delle sanzioni internazionali contro l’Iran. Tuttavia, una manovra in questo senso potrebbe trovare non poche opposizioni tra i Repubblicani nel Congresso degli Stati Uniti e a Gerusalemme.

A non enfatizzare i cambiamenti nelle relazioni bilaterali sono prima di tutto gli iraniani. Infine, lo storico colloquio tra Obama e Rohani fa il gioco dell’opposizione interna (ora al governo a Tehran), vicina ai tecnocrati, che ha grande seguito nei circoli politici di Washington e spinge da anni per una distensione con la leadership iraniana per mantenere in vita la Repubblica islamica. Quest’opposizione parallela è vista con grande scetticismo dalla diaspora iraniana negli Stati Uniti e in Europa che resta fortemente anti-regime e, come è avvenuto nel 2009, continua a spingere per la fine del governo degli ayatollah.