Un altro pezzo dell’industria italiana sembra destinato a prendere la via dell’espatrio. L’assemblea degli azionisti di Telecom Italia ha deciso ieri di confermare il consiglio di amministrazione attuale di Telecom Italia e di bocciare la proposta di revoca avanzata da Marco Fossati, l’azionista rimasto escluso dagli accordi tra Telefonica e IntesaSanpaolo, Mediobanca e Generali. A mano di novità, il gestore italiano delle telecomunicazioni passerà quindi sotto il controllo del colosso spagnolo Telefonica. La vicenda è tuttavia molto complessa e probabilmente non ancora completamente conclusa.

Alcuni fatti restano molto controversi e opachi. Su questi – il prestito convertendo aperto e chiuso in poche ore che ha privilegiato Telefonica e il fondo americano Blackrock ma escluso Marco Fossati; e l’affrettata vendita a prezzi forse troppo bassi di Telecom Argentina – la magistratura e la Consob stanno indagando, e le inchieste potrebbero portare a risultati clamorosi. Ma altre circostanze appaiono invece già molto chiare. Il governo italiano fa come Ponzio Pilato: sembra che si lavi le mani del caso Telecom. In realtà invece dà il via libera alla società spagnola Telefonica, e soprattutto alle banche italiane IntesaSanpaolo e Mediobanca e alle assicurazioni Generali. Gli enti finanziari italiani si vogliono infatti disfare della loro quota in Telecom e non sembrano per nulla interessati al futuro della principale industria tecnologica nazionale.

Enrico Letta benedice l’operazione: «Ribadisco che Telecom Italia è una società privata e che esistono regole di mercato che vanno rispettate. Il governo non parteggia per nessun giocatore in campo». Il presidente del consiglio Letta boccia anche seccamente la riforma dell’Opa (offerta pubblica d’acquisto) proposta dal senatore indipendente eletto nelle liste del Pd Massimo Mucchetti, responsabile della commissione Industria del Senato. La legge di Mucchetti avrebbe imposto a Telefonica di pagare tutti gli azionisti di Telecom a prezzi di mercato, e quindi di sborsare miliardi per ottenere il controllo. Mentre attualmente Telefonica può prendere il controllo di Telecom – che in borsa vale 9-10 miliardi – pagando solo circa 850 milioni di euro, che verserà solamente a IntesaSanpaolo, Mediobanca e Generali, lasciando a secco tutti gli altri.

In tutto il mondo i governi si preoccupano delle reti di Tlc per motivi di politica economica e per salvaguardare la sicurezza nazionale. Due esempi per tutti: Deutsche Telekom e France Telecom sono partecipati dallo stato. Letta ha fatto intervenire le Poste per salvare Alitalia, un’azienda decotta, e ha salvato così anche IntesaSanpaolo e Unicredit, entrambe esposte per molte decine di milioni verso la compagnia aerea. Invece per Telecom Italia, che pure fa profitti, il premier invoca la neutralità. Due pesi, due misure. In effetti bisogna riconoscere al capo del governo una certa coerenza, preferendo schierarsi dalla parte delle banche. Alla faccia dell’industria nazionale.

Il problema è che Telefonica non ha interesse a sviluppare Telecom Italia e le reti di nuova generazione di cui l’Italia ha bisogno. Telefonica ha un debito di oltre 45 miliardi, il quale, e con il controllo di Telecom, si accollerebbe un debito ulteriore di circa 28 miliardi. Dall’operazione deriverebbe un debito complessivo gigantesco e quindi Telefonica non potrebbe investire molto sulle reti italiane. Telefonica venderebbe invece Tim Brasil, il gioiello della società italiana in terra carioca, per eliminare un concorrente pericoloso e fare cassa.

Che cosa dovrebbe invece fare un governo che salvaguardasse veramente l’economia nazionale? Farebbe intervenire la Cassa Depositi e Prestiti. La Cdp, forte di un attivo che supera i 300 miliardi, investendo solo 2,5 miliardi di euro, potrebbe controllare non solo la rete fissa ma diventerebbe l’azionista di riferimento di tutta Telecom e di Tim Brasil. Cdp potrebbe ricapitalizzare l’azienda insieme ai soci privati per risollevarla dai debiti. L’obiettivo dovrebbe essere di sviluppare la società e di integrarla alla pari, e non più come preda, con un gestore estero. E in prospettiva si dovrebbe fare come in Germania dove i lavoratori, pur senza partecipare al capitale, eleggono i loro rappresentanti nel CdA delle grandi imprese. Così l’Italia industriale avanzerebbe; mentre oggi il declino sembra proseguire inarrestabile grazie alla falsa neutralità dei governi.