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Tel Aviv gli nega il visto, il capo di Ocha costretto a lasciare Gerusalemme

Un camion di aiuti umanitari entra a Gaza dal valico di Rafah foto Ap/Abed Rahim KhatibUn camion di aiuti umanitari entra a Gaza dal valico di Rafah – Ap/Abed Rahim Khatib

Palestina/Israele Intervista ad Andrea De Domenico, per anni responsabile dell'ufficio umanitario dell'Onu nei Territori palestinesi occupati: «Dopo il 7 ottobre non hanno più dato visti alle Nazioni unite. Va peggio alle ong: a fine luglio il 90% degli operatori umanitari aveva il visto in scadenza e senza possibilità di rinnovo»

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 8 agosto 2024

Dopo aver svolto per anni come capo dell’Ocha a Gerusalemme, l’ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell’Onu, un incarico importante e delicato nei Territori palestinesi occupati, in particolare a Gaza dopo il 7 ottobre, Andrea De Domenico è stato costretto a partire.

Non potrà aggiornarci più sulla situazione nella Striscia come ha fatto per mesi con frequenti videoconferenze e interviste. Le autorità israeliane hanno improvvisamente negato il prolungamento del suo visto. Lo abbiamo incontrato poco prima della sua partenza.

Tutto è accaduto nelle ultime settimane, ci racconti come sono andate le cose.

Un paio di mesi fa il segretario generale dell’Onu (Guterres) ha pubblicato un rapporto sui bambini nei conflitti armati in cui l’esercito israeliano è stato inserito nella lista nera. Il governo Netanyahu ha subito annunciato misure punitive nei confronti delle Nazioni unite e nei giorni seguenti ho scoperto che il visto in scadenza era stato rinnovato solo di un mese. L’8 luglio ho fatto domanda per un ulteriore rinnovo ma dal ministero degli esteri israeliano mi hanno chiamato per dirmi che non intendevano prolungarmi il visto e mi avrebbero concesso solo pochi giorni per preparare la partenza.

Le hanno dato spiegazioni?

I contatti che ho avuto in seguito mi hanno solo confermato che la scelta era stata presa ai massimi livelli, cioè dallo stesso ministro degli affari esteri (Israel Katz, ndr). Alcuni Stati membri (dell’Onu) si sono attivati per resistere a questa decisione, alcuni anche ad alto livello, però la risposta è sempre stata la stessa. Dopo, come Nazioni unite, abbiamo pensato solo a come assicurare che potesse esserci qualcuno a sostituirmi nella risposta umanitaria a Gaza e Cisgiordania. Al momento non abbiamo certezze.

Il suo caso ha contribuito a far emergere il problema del mancato rinnovo da parte di Israele dei visti di lavoro per il personale dell’Onu e gli operatori umanitari delle ong in Cisgiordania e Gaza. Una situazione che riguarda decine se non centinaia di persone.

Immediatamente dopo il 7 ottobre le autorità di Israele non danno più dato visti alle Nazioni unite e abbiamo avuto forti difficoltà a far arrivare i colleghi necessari per attivare la risposta umanitaria, soprattutto a Gaza. Poi è venuta una fase in cui Israele è stato chiamato solo a dare un consenso agli ingressi. C’è stato un rilassamento per un certo periodo che in qualche modo esiste ancora per Gaza. Però è molto mirato, nel senso che alcune funzioni come le comunicazioni, advocacy e protezione sono molto penalizzate rispetto ad altre. La condizione peggiore è per le ong. Alla fine di luglio il 90% degli operatori delle ong a Gerusalemme est e in Cisgiordania avevano il visto in scadenza e senza possibilità di rinnovo. Significa che in futuro potranno entrare solo come turisti, status che non permette di lavorare e non avranno i visti per continuare ad assistere la popolazione palestinese. A causa anche delle restrizioni sui visti, l’Onu in Cisgiordania non è riuscita ad aumentare l’assistenza umanitaria necessaria per le conseguenze degli episodi quotidiani di violenza dei coloni israeliani o per le demolizioni di case palestinesi. Senza dimenticare che le operazioni militari israeliane in Cisgiordania si svolgono come se ci fosse una guerra in atto, con droni che sparano su centri densamente popolati.

Pensa che queste limitazioni israeliane ai visti per gli operatori umanitari saranno confermate anche con un cessate il fuoco? E non dimentichiamo il boicottaggio che subisce l’agenzia Unrwa che una legge israeliana ora definisce organizzazione terroristica.

Stiamo insistendo affinché siano definiti i parametri operativi (per l’Onu) durante un possibile cessate il fuoco, per permetterci di operare. L’impressione al momento è sfavorevole. Fissare i parametri è essenziale. Certi materiali ancora oggi non possono entrare nella Striscia per decisione di Israele. Ciò fa parte di una strategia precisa volta a tenere la situazione al limite della sopravvivenza. Non importa solo la quantità ma anche la qualità degli aiuti che devono andare ai palestinesi di Gaza. E non è solo una questione di cibo.

A cosa si riferisce?

Il numero di malati al limite della sopravvivenza è enorme. Sarebbero curabili in un altro contesto, invece tanti di loro sono a rischio della vita nelle condizioni in cui si trova ora Gaza. Parlo dei diabetici, dei dializzati, dei malati oncologici. E questa è sola una delle situazioni che dobbiamo affrontare tra mille complicazioni, tra cui quella del mancato rinnovo dei permessi al nostro personale. Eppure, non molliamo e insisteremo per poter garantire più assistenza umanitaria ai civili palestinesi.

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