Mentre lavora per stringere i rapporti con la Turchia in rotta di ‎collisione con gli Usa, Tehran con grande sorpresa ha visto l’Iraq, paese ‎amico e sotto la sua influenza, dichiararsi per bocca del premier Haidar ‎al Abadi pronto ad attuare le sanzioni americane contro l’Iran. ‎«Non ‎sosteniamo le sanzioni perché sono un errore strategico ma le ‎applicheremo‎» ha annunciato la scorsa settimana il primo ministro ‎iracheno scatenando la reazione del leader supremo iraniano, ‎l’ayatollah Ali Khamenei. ‎«Questa posizione dimostra che (Al Abadi) è ‎stato psicologicamente sconfitto dagli americani» ha tuonato Moujtaba ‎Al Hussein rappresentante a Baghdad di Khamenei. ‎

‎ Raffiche di accuse ad al Abadi sono giunte da gran parte dei media e ‎degli editorialisti iraniani. «Come al Abadi può prendere una tale ‎decisione sapendo che le sanzioni porteranno a fame, povertà, malattia ‎e privazione all’Iran e nessun beneficio al popolo iracheno‎», ha ‎lamentato l’analista Mohammad Sadeghi al Hashemi sottolineando che ‎la posizione di al Abadi è incomprensibile se si tiene contro che l’Iraq ‎ha pagato un prezzo altissimo per i 12 anni di sanzioni internazionali ‎che ha subito tra il 1991 e il 2003 e mentre la Russia, l’Europa, la Cina, ‎il Pakistan e l’India si oppongono alla linea di Trump. Non sorprende ‎perciò che la visita imminente di al Abadi in Iran sia stata annullata per ‎decisione di Tehran.‎

‎ A spingere al Abadi a muovere un passo che lo pone in chiaro ‎contrasto con l’alleato iraniano, è un insieme di fattori. Alcuni ‎sostengono che il premier iracheno, come hanno fatto altri esponenti ‎sciiti di primo piano, a cominciare dal leader religioso sciita Muqtada ‎Sadr vincitore delle elezioni politiche di maggio, hanno operato ‎nell’ultimo anno per migliorare le relazioni con la monarchia saudita e ‎hanno preso, almeno in parte, le distanze da Tehran. Altri pongono ‎l’accento sulla situazione interna all’Iraq. «Nel paese il consenso verso ‎l’alleanza con Tehran non è granitico come in passato e alcuni ‎addebitano allo stretto rapporto tra i due paesi la lenta crescita dell’Iraq ‎che ora è nel pieno di una crisi economica e sociale ed è attraversato da ‎proteste popolari‎», spiega al manifesto l’analista Ghassan al Khatib. «Al ‎Abadi cerca di recuperare consensi – ha aggiunto Al Khatib – giocando ‎la carta della fedeltà irachena alla politica regionale di Washington ‎certo che il suo annuncio convincerà Trump a pompare nelle casse ‎vuote del paese decine di miliardi di dollari‎».‎

‎ Se queste sono le motivazione della mossa fatta da Al Abadi, allora ‎presto si rivelerà un boomerang. L’embargo contro l’Iran potrebbe ‎causare la perdita di molti posti di lavoro anche in Iraq e tagliare una ‎fonte cruciale di importazioni a basso costo. ‎«L’80% dei prodotti sul ‎mercato è fatto in Iran, se il confine dovesse chiudersi, sarà crisi per ‎tutti noi‎», ha detto all’agenzia Afp Ali Ajlan un rivenditore di ‎elettrodomestici. Simili le dichiarazioni di altri commercianti. Nel 2107 ‎l’Iran ha importato appena 77 milioni di dollari di merci irachene ‎mentre ha esportato verso l’Iraq prodotti per 6,6 miliardi. Ed è ‎probabile che Baghdad, attuando le sanzioni Usa, debba fare i conti ‎anche con un netta riduzione del numero di pellegrini iraniani che ‎annualmente visitano i luoghi santi sciiti in Iraq.

‎ Per il noto opinionista arabo Abdel Bari Atwan sarà proprio Al ‎Abadi la prima vittima illustre delle sanzioni contro l’Iran. ‎«I partiti ‎sciiti iracheni, incluso il Da’wa che ha portato Abadi al potere, ‎condannano le sanzioni. Per questo sarà difficile, se non addirittura ‎impossibile, che il premier resti al suo posto quando verrò formato il ‎nuovo governo iracheno». ‎