Non si è nascosto Mohammad Baqer Qalibaf, presidente del parlamento iraniano ed ex sindaco di Tehran. I piani di espansione del programma nucleare del paese, ha detto ieri a Bbc News Persian, puntano a dare all’Iran un maggior potere contrattuale nei possibili colloqui con l’Amministrazione Biden sul rilancio del Jcpoa, l’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano del 2015 affondato da Donald Trump. Sono, ha lasciato intendere, una «merce di scambio» l’aumento della produzione dell’uranio arricchito e il blocco (rinviato di tre mesi) degli ispettori dell’Aiea previsti da una legge approvata dal parlamento dopo l’assassinio a novembre (attribuito al Mossad israeliano) dello scienziato Mohsen Fakhrizadeh.  «Questa legge aiuterà a revocare le sanzioni contro l’Iran», ha previsto Qalibaf aggiungendo che negoziati con gli Stati uniti e altre parti sono già in corso dietro le quinte.

La fine delle sanzioni era e resta la priorità dell’Iran. Senza la loro revoca, l’ha ribadito l’altro giorno anche il presidente Hassan Rohani, il paese continuerà a sviluppare il programma nucleare mentre Biden, al contrario, vuole che torni a rispettare i limiti sanciti del Jcpoa. In questo tira e molla, incurante degli avvertimenti minacciosi lanciati di nuovo ieri dal presidente francese Macron, Tehran ha annunciato che testerà a freddo il suo vecchio reattore di Arak che, dopo i lavori di ammodernamento, tornerà operativo nel corso dell’anno. I primi test si svolgeranno domani, all’inizio del Capodanno iraniano. È un’altra prova di forza. l’Iran aveva accettato di chiudere Arak firmando l’accordo del 2015, ora è pronto ad usare quel reattore anche se, dice, solo per produrre isotopi per uso medico e agricolo. Qualche giorno fa è iniziato anche l’arricchimento dell’uranio nell’impianto sotterraneo di Natanz con un secondo tipo di centrifuga avanzata, l’IR-4, dopo la messa  in funzione delle centrifughe IR-2m. Il Jcpoa autorizza solo le IR-1 di prima generazione. Inoltre nell’impianto di Fordow l’uranio viene arricchito fino al 20%.

Siamo lontani dalla soglia per assemblare ordigni atomici ma Tehran tira la corda fin che può perché è convinta che Biden cederà e annuncerà la revoca delle sanzioni prima dell’avvio dei colloqui. È un gioco pericoloso, sul quale potrebbero pesare le attività degli alleati di Tehran nella regione, scatenando la reazione degli Stati uniti. Le frequenti sortite militari dei ribelli yemeniti Houthi, sostenuti e armati dell’Iran, contro l’Arabia saudita stanno riavvicinando Washington e Riyadh dopo il gelo calato in seguito alle accuse della Cia all’erede al trono saudita Mohammed bin Salman. I ribelli continuano a guadagnare terreno a Marib, ultima roccaforte del governo nel nord del Paese sostenuto dai sauditi. E ieri poco prima dell’alba, hanno lanciato un nuovo attacco con droni nel regno dei Saud danneggiando una raffineria di Aramco nei pressi della capitale. A inizio marzo erano riusciti a minacciare le infrastrutture di Ras Tanura, il principale porto petrolifero dell’Arabia saudita e un complesso residenziale per i dipendenti di Aramco a Dhahran.

A questi attacchi Riyadh ha replicato aumentando i bombardamenti aerei in Yemen non mancando di puntare l’indice contro l’Amministrazione Biden accusata di aver rimosso Ansar Allah, gli Houthi, dalla lista nera dei gruppi terroristici. Un clima che potrebbe spingere la Casa Bianca a usare il pugno ferro e porre più condizioni per l’avvio della trattativa con l’Iran sul rilancio del Jcpoa peraltro visto come il fumo negli occhi da Arabia saudita e Israele.