L’accordo sul nucleare iraniano sembra sicuro e impossibile a fasi alterne. Ieri è toccato al ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif mettere le mani avanti e rifiutare qualsiasi richiesta «eccessiva e irrazionale» degli Stati uniti. Per Zarif, l’ipotesi di congelamento per dieci anni di ogni attività nucleare sensibile, avanzata dal presidente Usa Barack Obama, è una minaccia, utile solo a contenere le opinioni critiche verso l’accordo che vengono sia da destra che da sinistra negli Stati uniti.

In verità, Tehran e Washington fanno pressioni nel round negoziale in corso a Ginevra perché il contenzioso si chiuda in anticipo (rispetto alla data stabilita del giugno 2015 ma ben in ritardo in riferimento all’originale scadenza del giugno 2014), entro il prossimo 31 marzo, nonostante l’opposizione radicale del premier israeliano. Benjamin Netanyahu ha tentato in ogni modo di far saltare il tavolo negoziale. Altro che accordo, Netanyahu ha letteralmente fabbricato le prove che avrebbero visto l’Iran vicino ad avere un’arma atomica, sebbene gli stessi Servizi segreti israeliani avessero notizie ben più rassicuranti sulla natura civile del nucleare iraniano, solo per giustificare un attacco armato.

Non solo, nel suo discorso di ieri a Washington, Netanyahu ha assicurato che un accordo con l’Iran permetterebbe a Tehran di costruire l’atomica e non ha escluso un attacco unilaterale di Tel Aviv.

Eppure Obama aveva tentato di calmare le acque assicurando che gli attuali colloqui con l’Iran non avrebbero «inficiato permanentemente» i rapporti con Israele. In verità i termini dell’intesa sono tutti sul tavolo e la bozza di accordo è già pronta. A mancare è la volontà politica sia dei radicali in Iran che si sono avvantaggiati delle sanzioni internazionali a discapito della popolazione, sia di molti repubblicani e delle lobby israeliane anti-iraniane a Washington.
Nella visita della scorsa settimana del ministro degli Esteri italiano a Tehran, Paolo Gentiloni (Roma è stata tagliata fuori per ben dieci anni dai colloqui sul nucleare dei paesi del Consiglio di Sicurezza Onu insieme alla Germania – P5+1), i negoziatori iraniani sono stati chiari su un punto. È necessario che il raggiungimento di un accordo coincida con l’eliminazione dell’embargo internazionale. Fin qui così non è stato e nonostante Tehran abbia ottemperato a tutte le richieste dell’Agenzia per l’Energia atomica (Aiea), le sanzioni sono state inasprite dal Congresso Usa.

Gentiloni ha anche promesso il ritorno in grande stile degli imprenditori italiani in Iran in caso di accordo dopo dieci anni di colpevole assenza, nonostante l’Italia (di andreottiana memoria) sia stata per decenni una dei principali partner commerciali di Tehran.
Le autorità iraniane stanno fronteggiando le conseguenze economiche sia delle sanzioni internazionali per il programma nucleare sia della diminuzione dei prezzi del petrolio.
La diminuzione dei prezzi del greggio ha causato, secondo il segretario del Consiglio per la soluzione delle Controversie, Mohsen Rezaei, una perdita che ammonta fin qui a cento miliardi di dollari per l’economia iraniana.

E così i moderati di Hassan Rohani guardano alla soluzione del contenzioso nucleare per bilanciare i magri proventi petroliferi. Questa è però l’ultima chance per dare credibilità alla politica economica del presidente moderato e favorire le aspirazioni della società civile iraniana.