Teheran non condanna l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, così come nel 2014 non si era pronunciata in merito all’annessione della Crimea. Poche ore dopo l’invasione ordinata dal presidente russo Vladimir Putin, il 24 febbraio il suo omologo iraniano Ebrahim Raisi gli ha telefonato per dirgli che «l’espansione a Est della Nato era una minaccia alla stabilità e alla sicurezza di Paesi indipendenti». Quello stesso giorno, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha affermato «la necessità di disapprovare le azioni provocatorie della Nato» e ha invocato «un cessate il fuoco e una soluzione politica e democratica». Il giorno seguente il quotidiano conservatore Kayhan, il cui direttore è nominato dal Leader supremo, ha osservato come «gli Stati Uniti abbiano, ancora una volta, abbandonato un loro alleato». Una lezione «da tenere a mente».

SUI MEDIA IRANIANi la guerra in Ucraina è «un’operazione militare speciale», come sui mezzi di comunicazione russi. L’ex deputato moderato Ali Motahari ha criticato l’emittente di Stato della Repubblica islamica per una copertura mediatica «troppo compiacente nei confronti della Russia», e ha invitato l’establishment di Teheran a «condannare l’aggressione per dimostrare la propria indipendenza». I conservatori ci tengono invece a rimarcare come l’Ucraina sia stata abbandonata a se stessa e biasimano l’Occidente, «di cui non ci si può mai fidare». Della leadership di Kiev si fanno beffe, definendoli «politici la cui fiducia sarebbe mal riposta nell’Occidente». Sono però tutti concordi sulla necessità di rafforzare il programma missilistico.

Se i vertici di Teheran non condannano l’aggressione dell’Ucraina è perché la Russia permette di aggirare le sanzioni internazionali e l’embargo al petrolio russo spiana la strada al rilancio dell’accordo nucleare iraniano del 2015. Mai ratificato dal Congresso, era stato affossato dal presidente repubblicano Donald Trump. In un’ottica di distensione, ieri le autorità iraniane hanno autorizzato il rilascio di due cittadine anglo-iraniane a lungo detenute nel Paese con l’accusa di spionaggio. Nazanin Zaghari-Ratcliffe, dipendente della fondazione Thomson Reuters, e l’ingegnere Anousheh Ashouri, titolare di un’azienda del settore delle costruzioni, hanno finalmente lasciato l’Iran. Iraniane naturalizzate britanniche, sono state rilasciate dopo aver raggiunto un’intesa con i diplomatici di Londra giunti a Teheran, intesa che ha comportato la restituzione all’Iran di 394 milioni di sterline, equivalenti a 470 milioni di euro.

LA PRIGIONIA di Nazanin e Anousheh è infatti legata a una diatriba con le autorità inglesi, che gli ayatollah avevano portato, invano, davanti alla Corte Permanente di Arbitrato all’Aia ottenendo sentenze favorevoli, senza però riuscire a ottenere la restituzione del denaro.

Ma, andiamo con ordine. La crisi petrolifera del 1973 portò a un aumento dei prezzi dell’energia. A trarne vantaggio furono i Paesi produttori di oro nero. Alleato degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, con i petrodollari lo scià acquistò da loro una quantità ingente di armi. Pagava subito, senza attendere che la merce gli fosse recapitata. Era accaduto così anche per i 1500 carri armati Chieftain Battle e i 250 veicoli-officina acquistati a Londra: pagò 600 milioni di sterline alla firma del contratto. Ma la Rivoluzione del 1979 cambiò le carte in tavola, e a Teheran arrivarono soltanto 185 carri armati.

DEPOSTO LO SCIÀ, gli inglesi si rifiutarono di consegnare il resto della merce e si tennero i soldi. Per decenni gli iraniani avevano cercato di ottenerne la restituzione. La Corte Permanente di Arbitrato all’Aia aveva dato loro ragione nel 2001 e ancora nel 2009, ma gli inglesi avevano sempre fatto orecchie da mercante. E visto che funziona, gli ayatollah e i pasdaran hanno allora fatto ricorso alla cosiddetta strategia dell’ostaggio, in altri termini al ricatto. Londra e Teheran negano vi sia stato uno scambio, ma è un dato di fatto: Nazanin e Anousheh sono state liberate in cambio di denaro. Ora, in carcere in Iran restano ancora una dozzina di persone con doppia cittadinanza, iraniana e di un Paese occidentale. Pedine in un gioco più grande di loro.