Poche ore dopo l’annuncio del divieto di ingresso negli Stati Uniti per i cittadini di Iran, Iraq, Siria, Yemen, Libia, Somalia e Sudan, tutte le maggiori cariche del governo iraniano hanno preso parola, condannando con fermezza il gesto del neo-presidente e rendono evidente la compattezza che Teheran cerca di mostrare in questa fase di grande caos.

Nelle parole del presidente Rohani si intravede un chiaro invito a mantenere aperto il canale del dialogo tra Iran e resto del mondo e la volontà di continuare ad essere protagonisti delle sorti mediorientali: «Onoriamo la pace, la riconciliazione, la fratellanza e la convivenza pacifica. Oggi non è il momento per la costruzione di muri tra le nazioni», ha dichiarato durante la conferenza internazionale sul turismo tenutasi a Teheran sabato.

Per poi aggiungere: se «l’Iran non avesse aiutato le persone e gli eserciti in Siria e Iraq, oggi i terroristi governerebbero Damasco e Baghdad». Il presidente ha anche evidenziato la pericolosità del fenomeno terroristico, ribadendo che Teheran aiuterà «ogni nazione oppressa e in cerca di libertà contro il terrorismo in ogni parte del mondo».

Le dichiarazioni del ministro degli Esteri Zarif, invece, sono state una chiara condanna all’operato statunitense in Medio Oriente. Definendo il provvedimento un insulto al mondo musulmano e un regalo all’estremismo e sottolineando come gli Stati Uniti abbiano avuto un ruolo significativo nella nascita e nell’espansione dello Stato Islamico, Zarif celebra la grande storia dell’Iran e ne sottolinea il ruolo guida nella lotta al terrorismo nell’area.

Il ministro sottolinea, poi, la necessità per il suo governo di proteggere i diritti dei propri cittadini attuando delle misure di reciprocità e impedendo ai cittadini statunitensi di entrare nel paese, anche se non in maniera retroattiva.

Ciò che più colpisce è, però, il paragrafo finale del comunicato nel quale Zarif evidenzia come l’Iran non sia tenuto a rispettare le direttive statunitensi considerate «illegali, illogiche e contrarie al diritto internazionale» data l’assenza di relazioni diplomatiche tra Teheran e Washington.

Un’affermazione che risulta ancor più significativa alla luce del colloquio telefonico di domenica tra il presidente Usa e il re saudita Mohammad Bin Salman al Saud: i due avrebbero affrontato numerose questioni relative al Medio Oriente tra le quali anche la necessità di affrontare in maniera coordinata le «attività iraniane di destabilizzazione regionale».

Il mondo politico iraniano non è stato, però, l’unico a esprimere dissenso al provvedimento statunitense. L’ultima dichiarazione è quella di Valiollah Seif, governatore della Banca centrale dell’Iran: il governo smetterà di usare il dollaro nelle sue dichiarazioni ufficiali (in tutti i rapporti ufficiali in valuta estera e finanziaria) a partire dal 21 marzo, inizio del nuovo anno fiscale.

Anche i principali giornali iraniani hanno celermente reagito alla notizia, dando ampio spazio al dibattito sulla questione. A seconda della linea politica della testata, però, gli aspetti evidenziati sono stati differenti: alcuni quotidiani hanno lasciato ampio spazio alle parole del presidente Rohani o a quelle dei diversi rappresentanti del governo, mentre altri hanno sottolineato la pericolosità della scelta di Trump per il destino del Medio Oriente e la gravità dell’«eccezione Arabia Saudita».

Nonostante l’unanimità della condanna, l’eterogeneità nella presentazione della notizia rende evidenti le fratture interne, anche in vista delle elezioni di maggio. La critica feroce portata avanti dai conservatori in merito alle aperture del governo moderato di Rohani verso gli Stati Uniti e il resto del mondo, potrebbero – dopo questo divieto – trovare nuovo vigore.

La scelta di Trump potrebbe essere interpretata come la prova evidente dell’impossibilità di un accordo duraturo con gli Usa e della validità dell’opzione isolazionista tanto cara all’Ayatollah Khamenei e ai conservatori.