Prima l’Algeria, ora l’Iran. Se un mese fa il re del Marocco Mohammed VI accusava Algeri di finanziare, ospitare e sostenere il Fronte Polisario (con l’ovvia smentita di Algeri), ieri il ministro degli esteri Bourita si è scagliato contro l’Iran.

Un tempismo perfetto, a 48 ore dalla presentazione in stile PowerPoint del primo ministro israeliano Netanyahu che avrebbe dovuto svelare al mondo le prove di una produzione in fieri di bombe nucleari sul modello di Hiroshima da parte della Repubblica islamica.

Anche in questo caso l’attacco viene sferrato via Polisario: Rabat ieri ha interrotto i rapporti diplomatici con l’Iran affermando che sarebbe impegnato nel finanziamento e l’armamento del movimento per l’indipendenza del Sahara occidentale. E dunque nell’attiva destabilizzazione del Nord Africa. Paese che vai, accusa a Teheran che trovi.

Il sostegno al Fronte Polisario, spiegava ieri Rabat, sarebbe avvenuto con l’intermediazione di Hezbollah: «Questo mese Hezbollah ha mandato missili Sam9, Sam11 e Strela al Fronte Polisario con la complicità dell’ambasciata dell’Iran ad Algeri», ha detto Bourita. Da cui la decisione «di tagliare i rapporti diplomatici e chiudere l’ambasciata a Teheran». Nelle stesse ore all’ambasciatore iraniano a Rabat veniva chiesto di andarsene «senza indugio».

I soggetti chiamati in causa hanno subito smentito ogni accusa: «I commenti attribuiti al ministro degli esteri marocchino sulla cooperazione tra un diplomatico iraniano e il Fronte Polisario sono completamente infondati e privi di verità», scrive in una nota il ministero degli esteri iraniano. Parla anche Hezbollah, che dietro la rottura dei rapporti diplomatici con Teheran vede «le pressioni provenienti da Usa e Israele».

Si fa sentire anche Riyadh: «L’Arabia saudita sosterrà il Marocco contro tutto ciò che minaccia la sua stabilità», dice una fonte del ministero degli esteri saudita all’agenzia Spa. Indifesso appoggio al governo marocchino anche da Bahrein e Emirati arabi uniti.

La rottura si inserisce in un contesto di tensione ormai radicata: una settimana fa il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approvava (dopo un primo rinvio) una risoluzione Usa sulla questione saharawi, con dodici voti a favore e tre contrari, Russia, Cina ed Etiopia, che hanno criticato un testo considerato piegato alle pressioni marocchine (ma soprattutto francesi). Se al Fronte Polisario viene chiesto di ritirarsi dalla zona cuscinetto di Guergarat, non si menzionano ritiri da parte di Rabat, per il diritto internazionale potere occupante nel Sahara occidentale.

La posizione marocchina: prima il ritiro, poi le trattative. Il Polisario risponde: i territori liberati di Bir Lahlou e Tifariti non ricadono nella buffer zone di Guergarat (versione confermata dall’Onu, come ribadito a metà aprile dal segretariato generale), impossibile chiedere il ritiro da un’area dove i combattenti non sono presenti. Ma dietro la mossa marocchina contro il movimento sciita libanese e l’Iran c’è di più: affossare le legittime rivendicazioni saharawi associandole all’attuale nemico dei nemici di mezzo mondo, Teheran.

Forte della fobia anti-iraniana del presidente Usa Trump e dei pruriti bellici di Israele e Arabia saudita (con cui Rabat intesse buoni rapporti), il governo marocchino si inserisce in una crisi globale pronta a esplodere in ogni momento.

A dieci giorni dalla quasi certa decisione di Trump di non certificare l’accordo sul nucleare con l’Iran, con Netanyahu che tenta di scioccare con immaginifici show anti-Teheran, il Marocco mette il suo tassello nel mosaico della prossima guerra. Magari su richiesta di Riyadh, interessata a costruire la propria tesi: dallo Yemen alla Siria all’estremo ovest del Maghreb, Teheran è destabilizzatore dell’intero mondo arabo.