Non è stata una resa, ma un rilancio. L’occupazione del teatro Valle cesserà domenica 10 agosto a condizione che la «convenzione» con il teatro di Roma adombrata negli scambi frenetici, e pubblici, con il suo presidente Marino Sinibaldi recepisca alcuni elementi determinanti per la «Fondazione Teatro Valle Bene Comune». Sarà questo il contenuto dell’incontro che si terrà oggi pomeriggio alle 18 all’assessorato alla cultura di Roma Capitale in piazza Campitelli.

A nome della Fondazione che vanta 5600 soci e un capitale sociale complessivo di 250 mila euro, gli attivisti incontreranno Sinibaldi, ma non l’assessore Giovanna Marinelli. Con lei è previsto un incontro nei prossimi giorni. Sempre che oggi il teatro di Roma non respinga le richieste elaborate collettivamente dal Valle insieme alle reti degli atelier e dei movimenti dei lavoratori dello spettacolo provenienti da tutto il paese. Un lavoro intenso che ha tenuto impegnate centinaia di persone nel fine settimana e anche ieri, nella terza assemblea nazionale di fila.

Al primo punto del documento che verrà sottoposto oggi al Campidoglio, e indirettamente al governo che con il ministro della cultura Dario Franceschini preme affinchè il Valle sia sgomberato, c’è la distinzione tra la proprietà del più antico teatro della Capitale (che resterà pubblico per i prossimi 100 anni nelle mani del teatro di Roma) e l’uso delle strutture e delle attività artistiche e formative gestite dalla Fondazione. Quest’ultima è titolata a firmare questa eventuale «convenzione» in quanto «associazione non riconosciuta», sebbene il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro non ne abbia riconosciuto la personalità giuridica.

Ciò non toglie che questo possa avvenire una volta terminata la fase triennale di occupazione, quando alla fondazione verrà attribuita effettivamente la capacità di «autogoverno» espressa dai cittadini e dagli utenti del teatro e riconosciuta dall’articolo 43 della Costituzione. Per i «comunardi» gli organi partecipativi stabiliti nel suo statuto garantiscono già oggi tale capacità e riempiono di senso la nozione, piuttosto vaga, di «teatro partecipativo» che il teatro di Roma immagina di realizzare nel Valle. Riconoscere l’autonomia della fondazione è fondamentare per condurre «una sperimentazione non solo artistica, ma anche gestionale». In seguito la «convenzione» potrebbe essere rinnovata. Per garantire questo percorso, è stata formulata anche l’ipotesi di una delibera d’indirizzo da parte della giunta Marino.

Poi c’è il capitolo spinoso dei lavori di messa a norma e di restauro del Valle. Questo è stato il cavallo di troia usato da Franceschini, Marinelli e il teatro di Roma per imporre prima l’ultimatum del 31 luglio, poi slittato al 10 agosto. «Ha tutta l’aria di essere uno strumento per chiudere il teatro per anni e liquidare l’esperienza di tre anni e un modello di autogoverno artistico ed economico che funziona». La proposta è invece quella di istituire un osservatorio composto da personalità scientifiche che garantiscano la cittadinanza e i soci sui tempi, sulle modalità e i capitolati di spesa. «È possibile farli partire con la fondazione che lavora dentro?» è stata la domanda più volte ripetuta.

Proposte complesse, frutto dell’intelligenza collettiva che si è espressa al Valle negli ultimi giorni. «In queste ore – hanno detto gli attivisti – abbiamo aperto uno spazio politico negato dalle istituzioni e lo abbiamo messo a disposizione di tutti per decidere il futuro del Valle. Adesso sta al Campidoglio rispettare questa volontà».