A sorpresa, ieri pomeriggio, il presidente del teatro di Roma Marino Sinibaldi ha preso la parola nell’assemblea convocata al teatro Valle contro la «tagliola» del 31 luglio. Per l’assessorato alla cultura di Roma Capitale e il teatro di Roma, domani gli occupanti dovranno consegnare le chiavi del teatro alla Soprintendenza la quale procederà ai lavori di restauro di cui, al momento, si ignorano entità, tempistica ed economie.

Nella proposta di mediazione avanzata dal teatro di Roma, e ribadita ieri da Sinibaldi, al termine di questi lavori la Soprintendenza passerà la gestione pubblica del Valle al teatro di Roma. Quest’ultimo dovrebbe collaborare con la fondazione «Teatro Valle Bene Comune» alla sperimentazione di «forme nuove di progettazione, conduzione artistica e organizzazione». Nel pacchetto sarebbe compreso il riconoscimento della fondazione per «condividere tali attività».

Dal coraggioso intervento di Sinibaldi nell’arena del Valle ieri è emerso che la «tagliola» corrisponde al termine del mandato concessogli dal Comune per trovare una mediazione. «Dal 1 agosto non so cosa può accadere – ha detto – Mi hanno detto che entro questo termine si deve trovare un accordo». «E poi, cosa accadrà al teatro? Ci mandate manganelli e camionette?». La domanda è stata dura, ma spontanea, e ha interpretato l’angoscia provocata dall’escalation di violenza vista nella Capitale negli ultimi mesi contro i movimenti della casa, l’Angelo Mai o il Volturno. Nel caso del Valle, diventato un simbolo internazionale, tale possibilità metterebbe in dubbio l’autorevolezza del teatro di Roma, gettando un’ombra cupa e minacciosa sul Campidoglio e sulla giunta di centro-sinistra.

Il perentorio invito a lasciare il teatro («Non è un ultimatum» ha ribadito ieri l’assessore alla cultura Giovanna Marinelli) è stato giudicato «irragionevole e irricevibile» dagli occupanti. Per loro il Campidoglio sta usando il riconoscimento politico dell’occupazione, cosa effettivamente mai avvenuta in tre anni, per operare uno «sgombero dolce».

Annuncia la stipula di una convenzione con un soggetto – la fondazione – al quale il prefetto di Roma ha negato la personalità giuridica. Uno spazio ancora occupato non può essere infatti la sede legale di una fondazione. In più, l’accordo immaginato dal teatro di Roma verrebbe firmato con un soggetto non ancora titolato a farlo e dunque non avrebbe validità.
«In queste condizioni – affermano gli attivisti – il restauro e l’inagibilità saranno solo scuse per cancellare la nostra esperienza». Ai loro occhi, queste ragioni rendono la mediazione del teatro di Roma «oscura e confusa». Si chiede infatti di consegnare il teatro sulla parola, rinviando a un «dopo» che potrebbe anche non arrivare mai, la firma di una convenzione.

Al teatro di Roma, e all’assessorato, è stato chiesto di risolvere questa ambiguità. La richiesta è di invertire l’ordine logico: prima riconoscere la fondazione, poi stilare un accordo. La Soprintendenza valuterà gli interventi da fare insieme ad un comitato di garanti proposto dal Valle e composto da Paolo Berdini, Tomaso Montanari, Salvatore Settis, Paolo Maddalena, Ugo Mattei e dall’ex ministro della cultura Massimo Bray.

Su queste basi il Valle chiede un tavolo pubblico che dovrebbe garantire una «fase di transizione», permettendo alla fondazione di strutturare la sua «legalità costituente» e di uscire dall’occupazione. All’assessore Marinelli gli attivisti hanno chiesto una dichiarazione ufficiale contro l’eventualità dello sgombero con la forza pubblica.

Senza questo impegno, la «tagliola» del 31 luglio continuerà ad essere intesa come «un ultimatum senza dialogo». Un dialogo che il teatro di Roma ritiene tuttavia concluso: «Il mio lavoro di mediazione termina domani – ha confermato Sinibaldi – Il Valle ha ottenuto il riconoscimento politico della fondazione e la valorizzazione culturale di quanto accaduto in tre anni».

Non termina invece l’accerchiamento del Valle da parte dell’Agis e dell’Anec a nome dell’Opr, un’organizzazione che comprende anche i sindacati Slc-Cgil e Fistel-Cisl. Ieri hanno querelato gli occupanti e il Campidoglio per «il danno provocato alla collettività» chiedendone il «sequestro» per motivi di sicurezza. Una forma di pressione sul sindaco Marino e sulla magistratura per accelerare lo sgombero, proprio quando l’invocato percorso pubblico rischia di finire in un vicolo cieco.

Così si vuole tornare alla «legalità» a Roma. Lo ha ribadito il sindaco Marino che ieri ha incassato il consenso della segreteria del Pd Lazio. L’unico dissenso in questo partito è di Stefano Pedica che ha denunciato lo «sfratto» del Valle negli stessi giorni in cui il Campidoglio ha cambiato la destinazione d’uso dello storico cinema Metropolitan in un centro commerciale.
In un quadro dove la politica istituzionale è schierata a falange a favore della normalizzazione dell’esperienza del Valle, il capogruppo di Sel in Campidoglio Gianluca Peciola ritiene che ci siano «le condizioni per un esito positivo che salvaguardi l’esperienza di produzione artistica e culturale e riconosca la sperimentazione della fondazione in un rapporto innovativo con le istituzioni.

Pur restando «disponibili» al confronto, gli occupanti hanno organizzato un presidio permanente al quale parteciperanno centinaia di artisti e cittadini provenienti da tutto il paese, non solo da Roma. «Faremo una resistenza creativa, pacifica e non violenta – hanno detto – teniamo vivo il teatro affinché diventi insopportabile anche la sola minaccia da salotto a suon di manganelli e sgomberi. Da qui non ci muoviamo». Per loro «il problema sta a monte e non al Valle».