Ottavia Piccolo è da sempre una delle attrici più attive nel coniugare teatro e impegno civile. Quando le chiediamo di parlare di Franca Rame vuole subito precisare una cosa: «Per qualcuno lei era un passo dietro Dario e questa cosa mi ha sempre dato un po’ fastidio, perché anche le persone più aperte tutto sommato pensavano a lei come a un’appendice di Dario. Ma non era fastidio per un punto di vista femminista, semplicemente sapevo che non era così. Ma non c’era nulla da fare, spesso il pregiudizio vince».

Poi per Ottavia Piccolo affiorano i ricordi della Milano anni ’60 «quando l’ho vista per la prima volta a teatro, all’Odeon, credo che lo spettacolo fosse Settimo ruba un po’ meno era il 1964, avevo quindici anni, non mi ricordo niente dello spettacolo, mi ricordo solo di una donna bellissima, una forza della natura e vedevo gli occhi della gente, soprattutto degli uomini, che la guardavano con interesse non solo artistico. Andavano di moda le maggiorate, poteva fare una bella carriera tranquilla, aveva fatto cinema, era una sventola pazzesca con una faccia intelligente, ironica, come dire, guardate pure le tette, ma io c’ho pure il cervello, ecco. Invece con Dario ha fatto una scelta che è venuta come naturale e istintiva, credo, perché ha scelto di fare le cose che sentiva più giuste».

Prima di chiacchierare con Ottavia Piccolo un impiegato del comune di Milano di origine pugliese ricordava come lei fosse andata in Puglia portando lo spettacolo Tutta casa letto e chiesa creando scompiglio perché comunque il retroterra era cattolico, lei però andava lo stesso «sì, sì, lei andava ovunque, senza paura poi bisogna ricordare che dai teatri ufficiali sono passati a spazi inconsueti, ai circoli ferrovieri, alle case del popolo, avevano inventato un nuovo pubblico, perché c’era il teatro d’avanguardia, c’erano le cantine romane, non è che non si facessero cose, ma un teatro politico così popolare così vicino alle persone… poi hanno creato anche degli attori perché loro sono stati una fucina con Nuova scena, poi con La comune».

Ma Franca era anche onnipresente teatro e società erano qualcosa di inscindibile, racconta ancora Ottavia: «Negli anni l’ho incontrata nei posti e nelle manifestazioni più incredibili, ecco lei c’era sempre e era anche generosa, non l’ho sentita mai invidiosa nei confronti di altri che facessero il nostro lavoro, ha sempre detto “che belle le cose che fai” ma non lo diceva solo a me, era attentissima a tutto quello che succedeva. E questo la spingeva anche a fare le sue battaglie.

Quella sera in cui sapevo che da Celentano c’era lei che raccontava lo stupro, ho voluto proprio vederla e… cavolo, un cazzotto nello stomaco, perché poi pensi che la televisione la vedono milioni di persone e lei ne parlava ancora come una cosa che la segnava profondamente, ma in quel modo, dico una brutta parola, la metteva a frutto per le altre, l’ha messa in scena e l’ha data in dote a tutte noi. Nel momento in cui l’ha messa in scena non solo ha rivissuto quell’esperienza, ma l’ha condivisa, perché il teatro ha questa funzione, non solo catartica, di farti passare attraverso le emozioni e se è la protagonista tutto ti arriva come una lacerazione, c’è compassione. Franca era una che non si tirava indietro.

Ieri sera Santoro ha raccontato che spesso dopo trasmissioni in cui avevano parlato di una situazione di emergenza, in cui c’era bisogno di aiutare qualcuno, lei telefonava chiedendo i dati “per vedere se posso aiutare, ma mi raccomando, che non si sappia in giro”. Queste cose le ha fatte, tante volte». Le immagini del funerale scorrono davanti agli occhi: «Quando Dario ha urlato “ciao” io e mio marito non ce l’aspettavamo, è stato straziante e ci siamo ritrovati con gli occhi lucidi. Perché penso a Jacopo, ma soprattutto a Dario, perché quando li incontravi capivi che era lei a trascinarlo. Bellissima, con i suoi occhialoni e la sua sciarpa rossa che avvolgeva anche il feretro. Qualcuno ha detto una bandiera, invece no, era la sua sciarpa che lei usava come una bandiera e questo è ancora più bello».