Non è usuale trovare un pubblico così giovane e agguerrito a una manifestazione che ha al suo centro il rapporto (e gli esiti) tra teatro e carcere. È successo anche quest’anno alla nuova edizione di Destini incrociati, la manifestazione che su quel rapporto indaga, addensando al Teatro Palladium riflessioni, esperienze, documentazioni video e spettacoli grazie agli sforzi comuni dei ministeri di cultura Rebibbia al teatro, con assoluto entusiasmo.

GRAZIE alla drammaturgia costruita per lui da Valentina Venturini (e con il coordinamento scenico di Fabio Cavalli), Cosimo Rega ripercorre la propria storia, con una dedizione emotiva palpabile, «duettando» con il pianoforte di Franco Moretti, e ottenendo in quella maniera «dolce» un effetto potente. Anche se lui è già abbastanza noto (Cesare non deve morire dei Fratelli Taviani lo vedeva tra i protagonisti), sorprende e commuove sempre la sua lucidità, e la comunicativa soddisfazione per quanto ha ottenuto.
Tra le numerose esperienze presenti in rassegna al Palladium, particolare fascino e ricchezza ha mostrato Ulisse o i colori della mente, spettacolo ricco di linguaggi e suggestioni che il Teatro popolare d’arte ha realizzato con alcuni suoi attori e i detenuti del carcere della Gorgona. Sull’isoletta toscana la compagnia guidata da Gianfranco Pedullà (autore e regista del progetto) ha lavorato, sfidando anche l’isolamento dovuto alle tiranniche leggi del mare, seguendo una intuizione affascinante: l’Odissea come processo di successivi stadi di liberazione dell’eroe omerico (da Polifemo alle Sirene a Circe) per raggiungere il ritorno pieno alla propria identità di uomo libero e riconosciuto nella sua realtà piena, umana e sociale.

E SE LA GUERRA di Troia era stato un delitto cruento quel viaggio di ritorno non significa solo espiazione, ma confronto vittorioso contro tutte le situazioni e i luoghi comuni che spesso impediscono la riconquista di sé. Tutto questo composto senza retorica, ma anzi con gli strumenti festosi della teatralità (pupazzi, colori, luci ed effetti scenici) che sembravano davvero restituire coscienza, oltre che piacere, ai personaggi sulla scena. Una compagine mista di detenuti attori e attori professionisti (che rimpiazzavano anche coloro che per motivi giudiziari non sono potuti uscire dall’isoletta carceraria), che fortemente testimoniava, con allegria e felicità, che anche il carcere, come i condizionamenti sociali e mitologici si possa superare, come era riuscito al vecchio Ulisse, che non a caso, la battaglia più dura l’aveva dovuta superare una volta tornato a casa nella sua Itaca.