Sembra ieri, e sono già Trent’anni uniti da quando nel 1987 Falso Movimento di Mario Martone, il Teatro Studio di Caserta di Toni Servillo e il Teatro dei Mutamenti di Antonio Neiwiller decisero di lavorare insieme in un’unica struttura artistica al cui timone, non solo organizzativo e produttivo, stava Angelo Curti. Trent’anni densissimi, in cui la morte prematura di Neiwiller e poi l’evoluzione artistica degli altri fondatori hanno portato a scelte «separate», senza per questo che Teatri Uniti abbia mai smesso di essere fucina di creazioni, linguaggi e incroci di alto livello, riscuotendo sempre successo di pubblico e attenzione internazionale.

Tutto questo è stato documentato da una bellissima mostra, ricca ed esauriente, e fascinosa a partire dalla sede: la sala Dorica nel cortile delle carrozze dentro il Palazzo reale di Napoli. L’esposizione ha avuto nei giorni scorsi una sua «finitura» che ha richiamato numerosi spettatori e studiosi attorno a questa sigla che ormai opera in diversi settori, dal teatro al cinema alla musica al multimediale, sempre tenendo fede al rigore della scelta compiuta ormai più di trent’anni fa. E subito si notava in mostra la stessa coerenza nel segno visivo, degli oggetti esposti e dell’allestimento, affidati oggi come allora alla mano felice di Lino Fiorito.

Per chi in tutti questi anni ha osservato e ammirato il lavoro di Teatri Uniti, quell’esposizione ha dato emozioni anche forti, basti pensare a quella specie di «rivelazione» che fu nel 1991 Rasoi, scelta di testi contrastanti e rivelatori di Enzo Moscato portati in scena da Martone e Servillo, e trasformato poco dopo in un film che resta tuttora una sublime «carta d’identità» di Napoli e di un mondo. Con i personaggi che hanno il volto dei numerosi aderenti a quella miracolosa factory. Perché in quell’ambito sono cresciuti e ancora orbitano nomi di assoluto rilievo: Andrea Renzi e Licia Maglietta, Anna Bonaiuto, Roberto De Francesco e Iaia Forte, Tomas Arana, e poi Enrico Ianniello e Tony Laudadio, Luciano Saltarelli e Marco D’Amore, per fare solo alcuni nomi tra i moltissimi (e fuori scena Daghi Rondanini che dell’equipe ha sempre dato il suono, e Pasquale Mari e Cesare Accetta la luce).

Davvero un’esperienza straordinaria, quella che la mostra ha riproposto senza nessuna nostalgia, ma anzi proiettando fortemente al futuro il lavoro di Teatri Uniti. Non a caso, durante i due giorni della «finitura», sono state presentate le nuove produzioni. Una è Il teatro al lavoro, un film di Massimiliano Pacifico che mostra e indaga la nascita e i temi dell’ultima fatica teatrale di Toni Servillo (Elvira da Jouvet, coprodotta con il Piccolo di Milano); l’altro è un vero inedito, di cui è autore niente meno che Samuel Beckett. Andrea Renzi ha infatti «mandato in onda», davanti al pubblico, un testo composto dal grande irlandese per la radio, musicato da Morton Feldman. Con l’Ensemble Dissonanzen schierato sul palco, lo stesso Renzi e Francesco Paglino hanno evocato con grande tensione questa parte della produzione beckettiana quasi sconosciuta da noi. Un’esperienza assai interessante, e di grande coraggio culturale.