Definire «surreale» la situazione, come fanno da entrambi lati della barricata quelli che detta situazione hanno creato, è ancora poco. I due partiti di governo, sull’orlo della crisi, si scambiano sgarbi e scortesie ma non si incontrano per disinnescare la mina. Il socio in giallo drammatizza sempre di più, sino a dichiarare per bocca del sottosegretario Buffagni «già aperta la crisi», mentre l’altro, quello in verde, lavora alacremente in direzione opposta minimizzando il guaio. Esemplare la risposta del presidente della commissione Finanze del Senato Bagnai a Buffagni: «Già in crisi? Sono sempre l’ultimo a sapere le cose. Ma ci sarà anche la crisi del settimo anno. E forse pure del decimo». Il premier Conte, in serata, gioca ad alzare la suspence: «Sui bandi presto conoscerete la mia determinazione».

MA I 5S GIÀ si preparano a portare la sfida in Parlamento. Lunedì, come hanno confermato giovedì a Conte sia il direttore generale di Telt Mario Virano sia, per iscritto, la ministra dei Trasporti Borne, i bandi partiranno. Di Maio progetta di rispondere con una mozione anti Tav in Parlamento, destinata certamente a essere sconfitta. Ma neppure lui sa cosa fare a quel punto, se sottomettersi alla decisione del Parlamento sovrano, come vorrebbero i governisti, o rompere l’alleanza con la Lega, come reclamerebbero i duri.

È una situazione da crisi quasi conclamata ma i leghisti, dal ministro Centinaio alla collega Bongiorno, dal capo dei deputati Molinari allo stesso leader stemperano, escludono esiti estremi. «Nessuna crisi e nessuna nostalgia del passato. Lavoriamo per unire», comunica in serata un serafico Salvini.

La cronaca della giornata è tutta qui: universi paralleli che si scambiano messaggi opposti e non comunicano. Apre le danze, in mattinata, Salvini, smentendo quanto affermato di fronte alle telecamere poche ore prima, quando aveva di fatto minacciato la crisi: «Non sono un irresponsabile. Questo è il governo che andrà avanti». Però, aggiunge, andrà avanti anche la Tav. Il leghista ci mette anche uno sgarbo plateale annunciando che nel week-end lui di Tav non parlerà, non parteciperà a vertici, non ha in agenda incontri: «Ci rivediamo lunedì».

DI MAIO CI RESTA malissimo. Lui, che aveva appena profetizzato un denso week-end diplomatico, coglie al volo il senso della lunga pausa di vacanza annunciato dal leghista e ricambia con la stessa moneta. Senza avvertire il socio convoca una conferenza stampa a palazzo Chigi, preceduta da un bombardamento a tappeto di dichiarazioni al quale partecipano tutti i pentastellati. Si dice «interdetto» per la minaccia di crisi su una questione non poi così importante, oltre tutto tradendo slealmente il punto 26 del contratto e poi sottraendosi al confronto quando bisogna invece discutere e dialogare, non metterla giù alla bambinesca con quel «vediamo chi ha la testa più dura tra me e Di Maio» che si era lasciato sfuggire nella notte Salvini in diretta tv.

Ogni parola pronunciata dal leader dei 5S converge verso un unico obiettivo: addebitare al socio leghista la colpa dell’eventuale crisi, addossare al suo irrigidimento sleale la responsabilità di far naufragare Quota 100 e il RdC. Ma sui bandi per la Tav la linea è uguale e opposta a quella del leghista: «L’opera non sta in piedi da un punto di vista tecnico e io non vincolo i soldi degli italiani prima di ridiscutere l’opera».

Sembra un teatro dell’assurdo ma in questa follia c’è invece del metodo. Salvini sa che M5S è in trappola: la sua falsa serenità serve solo a chiudere l’accerchiamento al quale si aggiungeranno oggi, tornando in piazza a Torino “le madamine che avevano innescato la mobilitazione pro-Tav. Il solo modo per bloccare i bandi sarebbe infatti non una risoluzione parlamentare non vincolante e oltre tutto destinata alla sconfitta, ma la denuncia da parte del governo dell’accordo con la Francia. Al Parlamento spetterebbe votare una ratifica che non arriverebbe mai. A quel punto però evitare la crisi sarebbe davvero impossibile.

DUNQUE SALVINI scommette che alla fine Di Maio, per nulla ansioso di far cadere con il governo, si acconcerà a imboccare la sola via d’uscita: subire l’avvio dei bandi e intavolare una trattativa con la Francia aperta a ogni ipotesi, inclusa la denuncia del trattato da parte dell’Italia. Sarebbe solo un rinvio di sei mesi, poi il nodo tornerebbe al pettine. Tempo sufficiente però per far partire Quota 100 e il RdC e anche per dare, ai “governisti” dei 5S, agio di sedare la rivolta interna: a che pro una crisi dal momento che la Tav partirebbe comunque?
Una sola opzione non è contemplata da Salvini: bloccare davvero la Tav. Piuttosto meglio la crisi e in quel caso, ha chiarito ieri Zingaretti «non ci sarebbe nessuna stampella da parte del Pd». La porterebbe dritti alle elezioni in primavera.