Di domenica invita gli imprenditori e i costruttori al Viminale e di lunedì propone un referendum sul Tav. Ghe pensa lu, ci pensa lui. Matteo Salvini, l’uomo forte del governo Conte, che trova strettissimo l’abito da ministro dell’Interno, prova a sparigliare le carte sulla Torino-Lione, quasi come se i 60 mila di domenica non fossero mai scesi in piazza contro la grande opera. Ieri, a margine di un incontro organizzato da Confindustria Lombardia, ha la rilanciato l’idea del referendum. Tifando apertamente per il «sì».

«Aspettiamo il rapporto costi e benefici, ma se non si arrivasse a una decisione, chiedere ai cittadini cosa ne pensano ritengo sia una strada. L’unica cosa che non può succedere è che si vada avanti ancora per settimane o per mesi a discutere. Serve – sottolinea Salvini – una risposta nelle prossime settimane: i cantieri si aprono o non si aprono». Solo in due casi il leader della Lega vorrebbe una consultazione: «Se i tecnici ci dicessero ’no’ o ’forse’, bisogna ascoltare i cittadini». In caso di «sì», niente referendum.

Le dichiarazioni di Salvini scaldano la contesa tra i due vicepremier. Luigi Di Maio, ministro dello Sviluppo economico, già stizzito per il summit di domenica con gli imprenditori su una materia non di competenza del Viminale, replica così: «Non è un ministro che può decidere un referendum, devono essere i cittadini di una comunità a chiedere un referendum, che non è concesso ma è previsto dalla legge». Poi, aggiunge lasciando un parziale spiraglio all’alleato: «Se lo chiedono i cittadini chi siamo noi per opporci?».

L’uscita di Salvini manda in subbuglio il M5S piemontese. «Nel contratto c’è scritto ’costi-benefici’. Non referendum», scrive la consigliera regionale Francesca Frediani. E dalla Sala Rossa di Torino la capogruppo Valentina Sganga, stupita della proposta leghista, a nome dei consiglieri comunali pentastellati dichiara: «Evidentemente il ministro Salvini, che non si capisce neanche più che ruolo abbia, se di ministro degli Interni o dei Trasporti, ha già appurato che i risultati dell’analisi costi-benefici danno ragione alle migliaia di persone scese in piazza sabato scorso e cerca un escamotage, come la proposta di un referendum con venti anni di ritardo. Faccia i conti con la realtà: il Tav va fermato».

Il M5S sabaudo è in difficoltà, stretto tra i tentennamenti e i compromessi dei grillini a Palazzo Chigi e le richieste perentorie del movimento No Tav di cui si sente ancora parte. Ieri, la Conferenza metropolitana dei sindaci del Territorio torinese ha approvato una proposta di mozione dei gruppi di centrodestra Lista civica per il territorio e di centrosinistra Città di città, intitolata «La Città metropolitana di Torino vuole il Tav»: 169 sono stati i voti favorevoli, un contrario, nove astenuti e quattordici non partecipanti al voto, tra cui la sindaca di Torino, Chiara Appendino. «Un atto politico di una parte del territorio che ha espresso la sua opinione», ha commentato la sindaca. Soddisfatto il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino:« Il voto ha fatto giustizia di cosa pensa sulla Tav e sulla crescita del Piemonte la comunità dell’area torinese, rappresentata dai suoi sindaci e non da chi è venuto da altre parti d’Italia, in alcuni casi con il treno ad alta velocità». Una frecciata volta a sminuire il successo della manifestazione dell’8 dicembre.

Duro il commento del movimento No Tav. «È stata una mossa elettorale di centrodestra e centrosinistra per provare a rispondere, senza successo, ai 70mila della manifestazione di sabato». Secondo il movimento «la presenza delle ’madamin’, che hanno chiesto anche di intervenire, certifica il livello politico da ultima spiaggia della politica sì Tav torinese. Facciamo fatica a ricordare un’altra riunione così partecipata, non ne ricordiamo una del genere mentre parte del territorio era sotto scacco delle alluvioni o dei tremendi incendi». I No Tav attaccano, infine, Chiamparino, sostenendo che «utilizza le sedi istituzionali come proprie per prepararsi al voto».