Il traforo ferroviario del Frejus voluto dal Camillo Benso conte di Cavour necessitò 14 anni di lavori per essere portato a termine. In quel tempo, 145 anni fa, furono scavati circa 14 chilometri di galleria utilizzando una tecnologia primitiva. I lavori iniziarono a colpi di piccone e terminano con i primi esemplari del martello pneumatico. Oggi, il tunnel geognostico di Chiomonte, un buco nella roccia che servirà a fare un altro buco nella roccia, il famoso tunnel di base, dopo cinque anni di lavori ha superato con slancio i sei chilometri di profondità. In un contesto composto da specchi, dove non si capisce quali siano le intenzioni reali al di là delle dichiarazioni roboanti, l’annuncio «ecologico» del ministro Graziano Delrio tende a sgonfiarsi, e si trasforma in un nuovo punto di partenza, da cui proseguire verso un futuribile doppio scenario.

Le uniche certezze, al momento, sono poche: la contrarietà della nuova amministrazione torinese al tunnel di base, cioè al piatto forte del progetto Tav che nessuno osa mettere in discussione, e la aleatorietà dei fondi economici necessari per la realizzazione dell’opera. In questo contesto Delrio, e quindi il governo Renzi, strizza l’occhio non alla val di Susa, che ha già scoperto il bluff di un annuncio che annuncia annunci già fatti in passato, ma al vastissimo parterre nazionale di elettori che si sta trasferendo in massa nelle braccia del M5S. A cui si vuole dare un messaggio rassicurante e vagamente ambientalista.

Quindi, la rivisitazione del progetto annunciata dal ministro, dà la possibilità di seguire due prossimi scenari.

Il primo: il progetto Torino – Lione non ha futuro e quindi ci si prepara ad un Tav exit brutale, magari con qualche scusa che non comprometta troppo i rapporti con chi l’ha voluto a tutti i costi, ovvero la incerottata corrente di potere che prende il nome di «Sistema Torino», avente come perno la vecchia guardia torinese del Pd, banche e costruttori. Vecchia guardia scaricata brutalmente da Matteo Renzi mezz’ora dopo la sconfitta alle recenti elezioni amministrative. Mancanza di fondi – la corte dei conti francese da tempo ha sentenziato che i denari necessari per la linea alta velocità al di là del tunnel sul versante transalpino non ci sono – territorio in costante rivolta, emorragia elettorale, situazione giudiziaria esplosiva: le ragioni razionali per abbracciare l’opzione zero, quella da sempre scartata dall’osservatorio tecnico, non mancano. Scenario futuribile, ma nel lungo periodo.

La seconda: proseguire con gli annunci alla Renzi, sperare che gli italiani che non vivono in val di Susa ci credano, concedere qualcosa in termini temporali e tenere ben salda la barra su alcuni punti irrinunciabili. Tra questi: il tunnel di base lungo 57 chilometri, il trincerone/muraglione che sventrerebbe vasti territori di importanti comuni della cintura torinese, Rivalta e Rivoli subirebbero un impatto ambientale senza precedenti, e il riutilizzo dello scalo ferroviario di Orbassano. Questi tre elementi, ovvero le parti di progetto che più muovono terra e necessitano cemento, saranno difese a spada tratta dalle lobby dei costruttori che sostengono il governo e da sempre vogliono la Torino-Lione. E infatti queste sezioni sono rimaste intatte anche nel cosiddetto «progetto low cost», per quanto siano le più impattanti economicamente ed ambientalmente. Questa operazione, la più probabile, prevede un costo pari a 8-10 miliardi di euro. Mega appalti in salvo e operazione simpatia: è lo scenario tombola.
In questo contesto fuori controllo rimane ferrea l’opera della procura di Torino: due militanti, risultati inadempienti a misure restrittive, sono stati trasferiti in carcere. Un terzo è stato posto agli arresti domiciliari ma ha annunciato che non li rispetterà. Presso la Galleria di Arte Moderna di Torino questa sera verrà proiettato «Archiviato», video documentario in cui si racconta dei molteplici risvolti giudiziari legati alla lotta popolare valsusina.